martedì, 17 settembre 2024
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Venti profughi al Ca' Florens di Istrana. Riflessione del direttore Caritas

Treviso, la Caritas ospiterà venti profughi
„La Caritas ha trovato accoglienza presso la struttura istranese. Don Schiavon: "Resto ferito quando sento parlare di questi fratelli come dei centri di costo e mai come delle persone la cui dignità va sempre salvaguardata e amata".

L'istituto Ca' Florens di Istrana accoglierà la parte più consistente dei profughi giunti a Treviso dopo lo sbarco a Lampedusa. Altri quattro troveranno rifugio alla cooperativa "Alternativa" di Vascon di Carbonera, altrettanti presso la comunità "Emmaus" di Crocetta del Montello e altri quattro alla cooperativa "Una casa per l'uomo" a Montebelluna. Ma la gestione di questa vicenda suscita diverse riflessioni, come scrive in questo intervento il direttore della Caritas Tarvisina.

Sabato 22 marzo sono arrivati a Treviso quaranta fratelli che pochi giorni prima erano sbarcati a Lampedusa. Sono giovani, sono impauriti e spaventati.
Nel cuore della notte, mentre venivano affidati alla nostra custodia, brillava nei loro occhi il desiderio di un po’ di pace, di calore umano, di un abbraccio sincero e consolante.
Li abbiamo accolti, ma intorno a noi molti, cittadini ed istituzioni, non li vogliono.
Non tutti, per fortuna. Tanti cittadini si sono fatti avanti per portare vestiario e cibo.
Ma ancora una volta dal nostro territorio, che sovente viene citato come esempio di una riuscita integrazione, si è levato un coro di rifiuti. Si sono avanzate giustificazioni di ogni tipo, accampando la ragione della mancanza di risorse e della contingenza della crisi economica.
Perché parlare sempre di costi?
E’ iniziato così il valzer dello scaricabarile, ragionando sempre in termini di calcoli economici, e mai tenendo in considerazione il valore sacro della persona.
Resto profondamente ferito quando sento parlare di questi fratelli come dei centri di costo e mai come delle persone la cui dignità va sempre salvaguardata e amata.
Ho incontrato delle persone spaventate e deboli. Non certo gli usurpatori della nostra terra, del nostro lavoro. E’ importante che venga posto fine ad uno stile ipocrita che con le labbra professa i valori cristiani, ma con le scelte della vita si arrocca in svariate forme di becero individualismo.
Chi scappa e lascia la propria terra, i propri affetti, rischiando di finire morto in mezzo alle gelide acque del mare, non lo fa a cuor leggero.
Non è certo una crociera nel Mediterraneo, non è una vacanza di piacere. Questi fratelli non vengono qui per portarci via il lavoro, non sono una minaccia alla sicurezza. Basta con la chiusura del cuore. Le difficoltà ci sono per tutti, ma si affrontano solo insieme.
E’ vergognoso che un territorio continui ad alzare barricate, che non si riesca a strutturare un’accoglienza per chi è in difficoltà, attivando una lotta significativa contro la povertà. Un appello molto forte lo rivolgo al mondo politico di questo territorio che è chiamato ad amministrare il bene pubblico con equità e giustizia. Non si può continuare ad usare la tecnica del carciofo. A turno, a seconda dell’emergenza, si scartano le foglie periferiche, mentre il cuore non lo si tocca.
Purtroppo questo cuore resta solo a beneficio di pochi, mentre la roulette dell’esclusione tocca prima o poi tutti coloro che affrontano delle difficoltà.
Incontrare le periferie esistenziali
Oggi si “scartano” i profughi per difendere i “poveri nostrani”, domani si scarteranno questi ultimi a vantaggio di qualche altro.
Oggi tocca al profugo, nessuno ci può assicurare che domani non tocchi a ciascuno di noi. Come ci ricorda papa Francesco, è necessario che troviamo il coraggio di incontrare ed abitare le periferie esistenziali dell’umanità e che lottiamo senza paura contro la logica dello scarto.
Basta con queste logiche di esclusione! Per un mondo più equo e migliore rimbocchiamoci le maniche e impariamo ad assumerci le nostre responsabilità. Accogliere l’altro nella sua dignità significa in concreto valorizzarlo per il dono che è ed imparare a ridistribuire le risorse e restituire tutto quello di cui in maniera indebita ci siamo appropriati.
Segno di giustizia
L’accoglienza non è semplicemente un’opera di carità, ma è segno autentico di quella giustizia che anticipa “cieli nuovi e terra nuova” e che ci fa riconoscere parte viva dell’unica famiglia umana dove ci sono sempre cibo e casa per tutti.

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