Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Santa Maria della Vittoria: "Gesù Cristo è la nostra pietra"
La comunità riunita con il Vescovo per la dedicazione del nuovo altare in croda
La piccola e unita comunità di Santa Maria della Vittoria ha vissuto lo scorso 17 aprile una serata indimenticabile di gioia, partecipando in gran numero alla solenne messa, presieduta dal vescovo Michele Tomasi, in occasione della dedicazione del nuovo altare, interamente realizzato in conglomerato alluvionale del Montello, cioè da una roccia sedimentaria tipica della zona, detta croda, formata da un insieme di ghiaie e ciottoli cementate da sostanze calcare.
La chiesa – santuario sorge sul punto più alto del Montello a 370 metri di altezza sul livello del mare, sul Colesel de la Val dell’acqua e la volontà di far nascere la parrocchia fu dell’allora vescovo Andrea Giacinto Longhin, negli anni Venti del secolo scorso. Per diverso tempo, gli abitanti di Santa Maria della Vittoria (molti dei quali erano giunti nei primi decenni del Novecento dalla Destra Piave, dal Bellunese e dall’Altopiano di Asiago), guidati dal don Angelo Fraccaro, primo parroco dal 1926 al 1954, si riunirono per le celebrazioni religiose in strutture provvisorie (dapprima una baracca utilizzata nella Grande guerra e in seguito in una sala). La costruzione dell’attuale santuario, progettato dall’architetto Fausto Scudo, iniziò invece nel 1935 e si concluse con l’inaugurazione il 7 novembre 1937, mentre la consacrazione avvenne il 12 agosto 1939.
“Il percorso per l’ideazione, la creazione e la dedicazione del nuovo altare, progettato dall’architetto Piera Garbellotto e realizzato da Esedra Marmi - ha ricordato all’inizio della celebrazione il parroco don Angelo Rossi che ha salutato e ringraziato con affetto il vescovo, i sacerdoti presenti fra cui don Luigi Dal Bello e don Paolo Barbisan, e i fedeli in chiesa o che seguivano la cerimonia all’esterno tramite un maxischermo - ha preso avvio 6 anni fa a opera del mio predecessore, don Luigi Dal Bello, e ha visto il contributo di tante persone di buona volontà”.
“Questa celebrazione - ha esordito nell’omelia mons. Tomasi - non è un’inaugurazione di un monumento o di un’opera d’arte. Certo vi è qui un’opera dell’arte, della dedizione, del lavoro umano. Ma è in primo luogo il momento in cui solennemente ci riuniamo per affermare che soltanto su una pietra viva vogliamo fondare la nostra vita: Gesù Cristo. E che soltanto una è la forma che vogliamo dare – insieme, come comunità di fratelli e sorelle – alla nostra vita, che è quella dell’amore di Cristo e della profonda amicizia e solidarietà tra di noi e con tutti gli uomini, perché vogliamo vivere come Gesù, amare come Gesù, donarci come Gesù si è donato”.
Tutta la celebrazione della dedicazione è organizzata sul modello del rituale dell’iniziazione cristiana del battesimo e della cresima - ha ricordato il Vescovo -: vi si trovano la benedizione dell’acqua e l’aspersione, l’unzione del santo crisma, l’eucaristia.
Quindi mons. Tomasi ha proseguito spiegando i segni: “Nel rito di dedicazione che stiamo celebrando inizieremo chiamando a testimone tutto il cielo, la comunità dei santi e dei beati la cui comunione celebriamo nelle nostre chiese e che celebreremo da questo altare. Collocherò nell’altare le reliquie di alcuni santi e beati, fratelli che hanno testimoniato con coerenza, forza e coraggio la loro fede nel Signore. Così la comunione, che verrà celebrata su questo altare, dovrà essere la comunione di una comunità che si richiama a coloro che hanno saputo cambiare il mondo fidandosi di Cristo, mettendo Lui al primo posto della loro vita e delle loro scelte. L’altare, infatti, è posto «come ara del sacrificio di Cristo e mensa del suo convito», è il luogo in cui si forma la comunità, costituita da nessun altro se non da Cristo. Questa pietra diventerà infatti per noi il segno di Cristo, la mensa del convito festivo, il luogo di intima unione con il Padre, la fonte di unità per la Chiesa, il centro della nostra lode il luogo della comunicazione fra il divino e l’umano”.
“Oggi - ha concluso il Vescovo - può elevarsi il nostro canto di lode, e possiamo diventare segno di speranza in un tempo difficile e faticoso, perché torniamo a credere che viviamo con Cristo, che nulla ci può separare dal suo amore. Su Lui troviamo la nostra vita, pietra angolare, dono di vita”.