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La prospettiva federalista europea è una necessità storica

Se dopo 80 anni la questione della costituzione dell’unione federale degli Stati europei posta da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni rimane ancora di grande attualità, ciò significa che il problema ha la rilevanza di una necessità storica

Se dopo 80 anni la questione della costituzione dell’unione federale degli Stati europei posta da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni rimane ancora di grande attualità, ciò significa che il problema ha la rilevanza di una necessità storica. Nel senso che si tratta di una proposta che non può essere accantonata e che riemerge, nonostante tutto, finché non trova una soluzione.

Per le prospettive federaliste, la crisi dello Stato sovrano rappresenta l’elemento essenziale per comprendere l’origine delle due Guerre mondiali, dei totalitarismi e della conseguente crisi della democrazia. Il principio della sovranità assoluta dello Stato nazionale si scontra, infatti, con la crescita dell’interdipendenza degli scambi, imposta dalla rivoluzione industriale e resa irreversibile dal processo di globalizzazione. La pretesa di sovranità assoluta e la conquista di spazi sempre più larghi (lo “spazio vitale”), comporta il dominio di terre sempre più vaste e, quindi, della guerra.

Stupisce che di questo assunto si stia facendo una questione di controversia ideologica, finendo per attribuirne la colpa (o il merito) alla sinistra, dimostrando, così, scarsa conoscenza della nascita e dell’evoluzione del pensiero e della proposta federalista.

Giova ricordare che tra i precursori di questa idea c’è Luigi Einaudi - sui cui testi Altiero Spinelli si è formato nel periodo del confino a Ponza e a Ventotene -, figura non certo attribuibile al Pantheon di una sinistra che ha avuto ben altri punti di riferimento. Per Einaudi, l’anarchia internazionale della legge del più forte non consentiva di comporre pacificamente le controversie: solo la federazione, ovvero la costruzione di un potere statale superiore, poteva garantire la pace.

E poi, come dimenticare Alcide De Gasperi, considerato a ragione uno dei padri dell’Europa unita, il cui impegno federalista è testimoniato dalle parole pronunciate non molto tempo prima di morire: “L’Europa si farà; e se non si dovesse fare, tutta la mia vita, tutta la mia carriera, sarebbero state vane”.

De Gasperi, che con il tedesco Konrad Adenauer e il francese Robert Schumann (è un caso che fossero tutti e tre cattolici ispirati da quell’idea di sussidiarietà così ben teorizzata da Giuseppe Toniolo?) fu tra i protagonisti dei primi passi dell’Unione europea, con una lucidità di analisi e una coerenza politica di cui i suoi successori non furono all’altezza. Di origine trentina e, quindi, “uomo di frontiera”, visse il contesto multietnico e multinazionale dell’impero austroungarico (fu anche deputato nel Parlamento di Vienna), cosa che risultò fondamentale per la sua concezione di un’Europa dei popoli.

La formazione di De Gasperi, dunque, fu radicalmente diversa da quella di Spinelli, ma entrambi vissero i rispettivi momenti di prigionia come luogo di riflessione e di maturazione personale, che li portò a conclusioni sorprendentemente simili. Ed ebbero anche modo di collaborare, quando De Gasperi, da presidente del Consiglio, fece proprio il memorandum che Spinelli gli preparò nel 1951, e che conteneva linee d’azione e programmi concreti, nonché strategie istituzionali e costituzionali, per giungere a creare organi comuni europei indipendenti dai Governi nazionali.

Spinelli e De Gasperi: due storie, un unico obiettivo politico.

Quando l’ideologia cede il passo a un interesse superiore, che è quello della libertà e della democrazia. Ma, soprattutto, della pace.

*presidente Movimento federalista europeo di Treviso e del Veneto

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