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Le Olimpiadi, la strana alleanza e le contraddizioni delle diverse anime del Governo

La vicenda del mancato accordo per le Olimpiadi è l’emblema delle difficoltà che sta trovando il Governo gialloverde. Tre, gli attori, nella candidatura olimpica: Torino, espressione del M5S; Milano, espressione del cuore economico e finanziario del Paese; e poi il Veneto e il resto della Lombardia, saldamente in mano alla Lega. Tre mondi costretti a convivere.

25/09/2018

Si complica la corsa italiana alle Olimpiadi invernali del 2026. L’idea di una candidatura congiunta delle tre regioni, e in particolare delle tre località che avevano manifestato interesse a ospitare l’evento - il Piemonte con Torino, la Lombardia con Milano e il Veneto con Cortina e le Dolomiti -, si è infranta sui giochi politici e sui veti reciproci. Decisivo lo “sganciamento” di Torino, che ha certificato i mal di pancia del Movimento 5 stelle. Il Governo, per bocca del sottosegretario Giancarlo Giorgetti, che molto si era speso per la candidatura unitaria delle Alpi italiane, ha gettato la spugna. Non è detta ancora l’ultima parola, la Lombardia e il Veneto vogliono provare ad andare avanti, con l’appoggio del Coni e di finanziamenti privati.
“Arrivati a questo punto è impensabile gettare tutto alle ortiche. La candidatura va salvata, per cui siamo disponibili a portare avanti questa sfida insieme. Se Torino si chiama fuori, e ci dispiace, a questo punto restano due realtà, che si chiamano Veneto e Lombardia, per cui andremo avanti con le Olimpiadi del Lombardo-Veneto”. Lo ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia. L’unico, va detto, ad aver evitato in queste settimane di puntare i piedi e a cercare in tutti i modi un accordo. Vedremo come andrà a finire.
In ogni caso, la vicenda delle Olimpiadi è l’emblema delle difficoltà che sta trovando il Governo gialloverde. Tre, gli attori, nella candidatura olimpica: Torino, espressione del M5S; Milano, oggi guidata da un sindaco del Pd ma, soprattutto, espressione del cuore economico e finanziario del Paese, dei cosiddetti “poteri forti”; e poi il Veneto e il resto della Lombardia, saldamente in mano alla Lega. Tre mondi che, in qualche modo sono costretti a convivere anche dentro al Governo  guidato da Giuseppe Conte: Lega, M5S, ma anche il mondo che è rappresentato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, quei poteri che garantiscono la “digeribilità” della dirompente alleanza giallo-verde nei salotti buoni e a Bruxelles.
Se l’alleanza olimpica si è infranta, non accade per ora altrettanto all’alleanza di Governo, che però sta vistosamente traballando, in vista della presentazione della legge di bilancio. Anche in questo caso, i più nervosi sono i pentastellati, con il loro leader Di Maio sull’orlo di una crisi di nervi. La Lega, invece, è già da decenni partito di governo: non appena le scadenze e le scelte politiche prendono il posto dei proclami su Facebook, l’abitudine alla mediazione e al realismo politico prende il sopravvento: così, in nome delle Olimpiadi, diventa perfino possibile un asse tra Carroccio e Pd. Una convergenza che, qui in Veneto, non è certo una novità, basti pensare alle tante nomine concordate in questi anni dai due partiti.

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