Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
L'autogol del Capitano e l'ascesa dell'Avvocato del popolo
La crisi che Matteo Salvini ha voluto aprire in pieno agosto dal Papeete di Milano Marittima, ha, fin da subito, assunto toni ben diversi da quelli che si aspettava il leader della Lega.Appare, però, evidente che un Governo, chiamato ogni giorno a gestire scelte ed emergenze, non può e non potrà reggersi solo sulla paura di Salvini e di restare senza sedia. Se è così, meglio il voto. Saprà, se nascerà, il nuovo Esecutivo avere un profilo politico, se non forte, almeno presentabile e coerente?
Era prevedibile. Come fu irto di ostacoli il cammino che portò al Governo gialloverde (MS5-Lega), presieduto dall’allora sconosciuto “avvocato del popolo” (ma per molti assomigliava più che altro a un notaio) Giuseppe Conte, così ora appare incerto, nel momento in cui andiamo in stampa, il cammino che dovrebbe condurre a un nuovo Esecutivo, questa volta giallorosso (M5S-Pd), ma presieduto sempre dal medesimo Conte, trasformatosi in poco più di un anno in un leader politico osannato dalle Cancellerie di mezza Europa e perfino “coccolato” via twitter da Donald Trump.
Nonostante gli appelli del presidente della Repubblica a “fare presto” e a chiarire se ci sono le condizioni per formare un Governo, la crisi più “pazza del mondo” si è alla fine aggrovigliata su quello che sembrava già all’indomani delle elezioni un dato di fatto di questa legislatura: la difficoltà ad avere maggioranze coese, data l’esistenza di (almeno) tre schieramenti. La crisi che Matteo Salvini ha voluto aprire in pieno agosto dal Papeete di Milano Marittima, ha però, fin da subito, assunto toni ben diversi da quelli che si aspettava il leader della Lega. Ben sapendo che non stiamo scrivendo a bocce ferme, proviamo a mettere in fila ciò che è successo, il perché e le prospettive (comunque incerte) che si aprono.
L’errore di Salvini
Non si può negare - lo sussurra a mezza bocca anche qualche leghista - che Matteo Salvini abbia compiuto un grave errore. Non voleva fare lo sbaglio di Renzi, che non ha colto l’attimo cinque anni fa per passare all’incasso elettorale prima di iniziare una vertiginosa discesa. Ne ha compiuto uno speculare, anche se l’esito (l’eventuale vertiginosa discesa, cioè) è ancora tutto da scrivere. Sbagliati i tempi, i modi e pure i conti. I tempi, perché non si apre una crisi a Parlamento chiuso, mentre tutti sono in vacanza, con il grilletto puntato per votare in tempi rapidissimi (un Governo che entro fine anno faccia la legge di bilancio ci dev’essere). I modi, perché al Papeete Beach, luogo della vacanza salviniana, in pochi giorni si è visto di tutto: proclami e insulti, rosari esibiti e danze con le cubiste… fino alla richiesta di “pieni poteri” che qualche brivido sulla schiena l’ha provocato e ha attivato quegli anticorpi che hanno facilitato il compito dell’ala “governativa” del Pd. I conti, perché alle Politiche la Lega ha preso meno del 20% ed era un po’ illusorio pensare che gli altri si “scansassero” per agevolare la cavalcata solitaria del “Capitano”.
Chi non vuole le elezioni
In effetti, i parlamentari sono sempre allergici all’idea di andare a casa. E nell’attuale Parlamento ci sono almeno tre categorie di parlamentari a dir poco terrorizzati dalla prospettiva del voto: quelli di Forza Italia (divisi tra loro e al momento spettatori); quelli del M5S, nel panico per i sondaggi e per la mannaia del tetto dei due mandati; i renziani del Pd, dato che in caso di elezioni sarebbe l’attuale segretario Nicola Zingaretti a guidare la composizione delle liste.
Probabilmente, Salvini contava sul fatto che le elezioni convenissero pure al nuovo segretario del Pd, che avrebbe potuto superare i Cinque Stelle come secondo partito e chiudere definitivamente la stagione renziana, pur perdendo le elezioni. E che mai e poi mai Matteo Renzi avrebbe fatto un simile voltafaccia, caldeggiando un Governo con l’odiatissimo M5S. Invece, il leader della Lega ha resuscitato in un solo colpo Renzi (tornato al centro della scena) e Di Maio.
La paura del “Capitano solitario” e quella di restare senza seggio sembrano aver avuto la meglio. Anche perché, oltre a queste due componenti, c’è pure una terza motivazione (forse la più forte): la prospettiva, per questo Parlamento di eleggere, pochi mesi prima del suo scioglimento, il prossimo Capo dello Stato. Una scadenza che poco interessa all’opinione pubblica, ma moltissimo a tutti i leader politici.
La sfida dei giallorossi
E ora che succede? Va subito chiarito che, se nascerà e avrà la fiducia delle Camere, il Governo giallorosso sarà pienamente legittimo. D’altronde, in un Parlamento diviso in (almeno) tre blocchi senza maggioranza, un Governo si può fare solo se due di queste componenti si mettono d’accordo. Vale a poco, come ha fatto qualche incauto esponente leghista dell’attuale Governo, appellarsi alla rivolta della piazza. Una proposta perfino surreale, se solo si pensa che i cosiddetti decreti Salvini sulla sicurezza rendono meno agevoli le manifestazioni di piazza e danno più potere alle Forze dell’ordine per vigilare su di esse.
Appare, però, evidente che un Governo, chiamato ogni giorno a gestire scelte ed emergenze, non può e non potrà reggersi solo sulla paura di Salvini e di restare senza sedia. Se è così, meglio il voto. Saprà, se nascerà, il nuovo Esecutivo avere un profilo politico, se non forte, almeno presentabile e coerente? Le trattative di questi giorni non inducono a grandi ottimismi. Ma non mancano neppure le possibilità che la maggioranza tra Pd e M5S possa alla fine trovare un suo profilo, caratterizzato da alcuni punti che fanno capolino dalle trattative di questi giorni: l’Europa (il M5S è stato decisivo per l’ok dell’Europarlamento alla nuova presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen); l’attenzione al sociale e alla povertà; le politiche per i giovani; l’ambiente e la sostenibilità. Proprio quest’ultimo punto potrebbe essere quello che qualifica e dà un senso all’eventuale nuova maggioranza. Sarà centrale il ruolo di Conte, dato che il premier ha dimostrato di avere dalla sua parte “numeri politici” imprevedibili e un reale consenso nel Paese.
Il Veneto all’opposizione
Resta, infine, una certezza: quello che forse sta per nascere è un Esecutivo rispetto al quale gran parte del Nord, e soprattutto il Veneto, è all’opposizione. Quasi due terzi dell’elettorato (nel nostro territorio anche di più), stando ai risultati delle recenti Europee, non può che nutrire riserve sul Conte bis in versione giallorossa. Sarà eventualmente compito del premier e dei suoi ministri provare a smentire questo giudizio, non gettando il lavoro finora compiuto, per esempio, sull’autonomia differenziata. Dimenticarsi del Veneto e delle esigenze del Nord sarebbe grave e miope. Ma i molti elettori veneti (e pure i tanti leghisti di buon senso e bravi amministratori) chi devono ringraziare, in primo luogo, per quanto accaduto? La risposta non sembra così difficile.