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I nostri sindaci e l' islam italiano

Alcuni primi cittadini del nostro territorio si rifiutano di partecipare all’incontro in Prefettura a Treviso con il sottosegretario agli Interni sul “Patto nazionale per un Islam italiano” sottoscritto dal Governo con le principali organizzazione islamiche presenti nel nostro Paese. Una scelta che sta suscitando perplessità, perché è importante conoscere le realtà religiose e le loro diverse declinazioni, il modo di vivere la fede anche da parte dei cittadini musulmani.

Lunedì prossimo, 24 luglio, il prefetto di Treviso, Laura Lega, ha convocato i sindaci di alcuni comuni importanti della Marca: Treviso, Asolo, Castelfranco Veneto, Conegliano, Montebelluna, Oderzo e Vittorio Veneto.
Diversi di loro hanno pubblicamente espresso l’intenzione di non partecipare a questo incontro perché dovrebbe essere affrontata la questione definita come “islam italiano”, un tema percepito come problema religioso e legato all’emigrazione chiamata “clandestina”. Tale percezione è caratteristica assai locale; infatti, non è problema solo religioso, non è legato alla questione dell’emigrazione, quella detta “clandestina”.

Gli islam
Uno dei sindaci intervistati ha dichiarato nell’articolo del Gazzettino del 19 luglio: “In primo luogo vorrei capire cosa significa l’espressione «Islam italiano»: è una contraddizione in termini come lo sarebbe dire «cattolicesimo italiano», poiché si tratta di religioni di respiro universale, i cui contenuti prescindono dalle lingue utilizzate”.
La richiesta di capire qualcosa in più è pertinente, mentre il paragone utilizzato lo è meno. Non si può paragonare la struttura della Chiesa cattolica alla struttura del mondo islamico. Il cattolicesimo è, probabilmente, la religione più “unitaria” al mondo. Cosa che non si può dire dei cristiani in generale. Infatti non si può sostenere che il mondo ortodosso sia unito, è prevalentemente suddiviso in chiese su base nazionale. Così non si può certamente dire del mondo protestante, sparso in un arcipelago di denominazioni e realtà.
Così non esiste un islam unitario e paragonabile alla Chiesa cattolica ma esistono molti islam; c’è quello sunnita e c’è quello sciita, tanto per richiamare le due famiglie maggiormente diffuse al mondo. Ma se anche io sapessi che un musulmano è, ad esempio, sunnita, dovrei chiedergli a quale nazionalità appartiene. Essere sunniti in Marocco, o in Arabia Saudita, o in Afghanistan non è per nulla la stessa cosa. Ma se anche fosse sunnita di una certa nazionalità, ancora non avrei in mano gli elementi necessari per capire quale islam egli vive: pratica o no? è affiliato a qualche confraternita o moschea particolare? Questi riferimenti personali incidono molto nel modo di vivere l’islam da parte della persona.

Politica e religione
Nei paesi islamici non c’è la laicità come la intendiamo, più o meno d’accordo, noi occidentali. La parte politica si interessa di religione, controllandola e gestendola.
Le scuole per gli imam sono controllate dallo Stato. Esistono le scuole coraniche, ma l’approvazione a diventare imam in una tale moschea è dello Stato. Le prediche pronunciate nelle moschee vengono registrate e verificate. Se non vanno bene al Governo, possono essere chiuse le moschee e l’imam mandato via o incarcerato.
Un islamico che viene in Italia trova uno Stato che non vuole saperne di religione. Chiunque, specialmente gli estremisti e gli approfittatori, può proclamarsi imam, aprire un luogo di culto, predicare quello che vuole senza che nessuno gli dica nulla.
Lo Stato italiano si è reso conto di questo e ha cercato degli interlocutori validi, non sedicenti rappresentanti autoproclamatisi tali. E’ stato un cammino lungo diversi anni, seguito da diversi Governi. La Consulta per l’islam italiano è stata formata nel 2005 per decreto del ministro degli Interni dell’epoca (Giuseppe Pisanu, del Governo Berlusconi) ed ha proseguito i suoi lavori con Giuliano Amato. E’ un tentativo che ha molti limiti, ma è il muoversi piuttosto che non fare nulla. E lo scorso 1° febbraio il ministro Minniti (nella foto) ha siglato il “Patto nazionale per un Islam italiano” fra il Ministero degli Interni e le undici maggiori istituzioni rappresentative del panorama islamico italiano. Un documento che comprende una serie di impegni reciproci.

I nostri sindaci
E’ bene che i nostri sindaci, non importa di quale colore o partito, sappiano che i loro cittadini islamici (non gli immigrati clandestini) guardano a loro come a chi ha da regolamentare le loro questioni religiose.
Possono dire di “no” ad alcune iniziative, ma è bene che sappiano a cosa e a chi dicono di “no”. E’ bene non solo che si assumano le loro responsabilità (questo già lo fanno e dobbiamo essergli grati perché è un grande servizio alla comunità civile), ma che sappiano perché dicono “sì” o “no” a questa o a quella iniziativa religiosa.
Possono diventare “censori” di una religione o della religione in generale, per quanto li compete, ma sappiano anche quali sono le conseguenze. E’ meglio collaborare con lo Stato italiano, anche se ora è guidato da un partito diverso dal mio, e mettere gli islamici del mio territorio davanti ad un fronte comune (di leggi, di iniziative...) o continuare a farli sentire estranei, ghettizzarli, estremizzarli?
Se le forze politiche, tutte, non s’interesseranno di islam, gli islam in Italia andranno per conto loro e, probabilmente, seguiranno i loro interessi, non quelli dell’Italia o degli italiani. Dopo… non lamentiamoci.

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