martedì, 17 settembre 2024
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Donald Trump tra politica e demagogia

Donald Trump non è un uomo solo e impazzito al comando come tanti vogliono farci credere. Chi lo descrive in questo modo, ovviamente perché non gli piace ciò che dice o fa, otterrà solo di rafforzarlo. Lo abbiamo già visto accadere in Italia, dove Berlusconi ha tratto forza dagli attacchi degli avversari politici.

Donald Trump non è un uomo solo e impazzito al comando come tanti vogliono farci credere. Chi lo descrive in questo modo, ovviamente perché non gli piace ciò che dice o fa, otterrà solo di rafforzarlo. Lo abbiamo già visto accadere in Italia, dove Berlusconi ha tratto forza dagli attacchi degli avversari politici.

Per comprendere Trump occorre andare più in là e chi vuole sconfiggerlo politicamente dovrà rispondere in modo diverso alle questioni che il miliardario di New York ha assunto a modo suo.

Infatti, occorre fare attenzione a non ridurre tutto a populismo, magari giudicando la gente perché è populista. E qui è necessaria una precisazione perché questo termine, populista, viene usato senza saperne il significato, abusando della parola e sbagliando il senso di quello che si dice. La parola “populista” si riferisce (fonte Treccani) ad un “movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia” tra il 19° e 20° secolo, “che si proponeva di raggiungere … un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”. Era un movimento socialista, Trump non lo è.

La parola che va usata al posto di “populismo” è “demagogia” (fonte Treccani), cioè l’arte di guidare il popolo con promesse difficilmente realizzabili.

Il presidente Trump è stato eletto dai propri elettori per quello che ha detto e fatto durante la campagna elettorale, per lo spirito di cambiamento che ha incarnato.

Trump si è assunto il compito di dare corpo allo spirito di scontentezza verso una politica distante dalla gente, verso una globalizzazione dell’economia che ha portato molta disoccupazione verso una finanza che scollegata dall’economia reale ha ingrandito la crisi economica del 2008. Inoltre, in Trump si sono visti rappresentati coloro che sono animati dallo spirito nazionalista (lo slogan elettorale era “fare ancora l’America grande”), da coloro che hanno paura del terrorismo e degli islamici.
Per questi motivi tanti gli hanno perdonato molto della sua storia e sono disposti a perdonagli altro ancora, basta che lui segua il mandato che gli è stato affidato: occupati di queste cose come vogliamo noi.
Chi è colpevole?
Il presidente Trump si è scagliato - durante la campagna elettorale, e fin qui nulla di strano - e durante il suo discorso di insediamento - questo è più grave, perché rischia di non essere il presidente di tutti come aveva annunciato nel discorso dopo la vittoria elettorale -, contro i politici democratici che hanno permesso alla Cina di portare via il lavoro alle fabbriche statunitensi, all’economia e finanza di essere globali impoverendo gli Usa e al terrorismo di colpire gli Stati Uniti d’America. E’ vero? Nel 1972 il presidente Nixon promosse la “diplomazia del ping pong” o “politica del ping pong”. L’occasione fu uno scambio di visite tra giocatori di ping pong di Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese: quell’evento sportivo promosse una distensione nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti d’America. Allora il presidente repubblicano Nixon diede inizio alle relazioni commerciali tutt’ora esistenti.
La globalizzazione è frutto dell’impegno politico di un presidente repubblicano statunitense, Ronald Reagan, e del primo ministro dell’Inghilterra, Margareth Thatcher. Durante gli anni ’70 il mondo era in una crisi economica rilevante (i meno giovani si ricordano le targhe alterne la domenica perché mancava la benzina o la penuria di alcuni alimenti quali il caffè) e i due governanti puntarono alla deregulation e alla globalizzazione: togliere le regole e allargare i mercati. Guarda la coincidenza storica, il primo politico ad incontrare il presidente repubblicano Trump è il primo ministro della Gran Bretagna, conservatore, donna. Il terrorismo contro l’Occidente e gli Stati Uniti trova motivo nella politica petrolifera degli Usa, nella loro gestione di conflitti locali e nelle guerre che hanno combattuto in medio oriente e paesi arabi. Tutte cose condotte dai presidenti repubblicani della famiglia Bush.
Tanta parte degli impegni di cambiamento assunti da Trump sono frutto di scelte di predecessori repubblicani. Quando lui si arrabbia contro chi ha ridotto così l’America statunitense deve guardare a casa propria e rendersi conto che gli Stati Uniti non sono vittima ma protagonisti di questi cambiamenti, sono causa principale dei mali che li affliggono.
Che cos’è la destra?
Era il ritornello di una canzone di Giorgio Gaber, dove anche le cose più banali erano riconducibili alla distinzione “cosa di destra” o “cosa di sinistra”. Non è più così. Sempre più la distinzione è tra chi crede in uno stato nazionale sovrano e in chi crede che, rinunciando a parte della propria sovranità, si possa ottenere un guadagno comune; succede sia negli Usa che in Europa, succede anche in Cina. Da una parte l’idea che lo stato sovrano sia capace di pensare prima ai suoi cittadini (“prima i veneti” o “American first”), dall’altra l’idea che solo aiutandosi e mettendo in sinergia le forze si ottiene di più. Nei decenni scorsi abbiamo visto i mali della demagogia degli stati sovrani, ma abbiamo anche visto i mali della globalizzazione. Denunciare i primi senza dire i secondi è disonestà o lettura ideologica.
Dire che Trump è brutto e cattivo può impressionare i bambini, ma non gli elettori che valuteranno Trump sulla base di cosa ha fatto per gli Usa. Trump si sta assumendo il compito di dare risposte importanti a domande importanti: è possibile contestare le risposte, ma non le domande. Certo, le scelte di Trump non sono innocue e neppure limpide. Ad esempio i cittadini provenienti da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria, Yemen non possono entrare negli Usa per i prossimi tre mesi, eppure nessun americano è stato ucciso dai loro cittadini; mentre possono entrare dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi, dall’Egitto e dal Libano, eppure alcuni dei loro cittadini hanno ucciso cittadini statunitensi: rispettivamente 2.369, 314, 162, 158 (fonte Bloomberg). C’è qualcosa che non ci ha detto presidente Trump?

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