Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Bravi ragazzi o ragazzi responsabili?
Ogni parola che pronunciamo e ogni azione che facciamo producono delle conseguenze. E di queste rispondiamo. Forse oggigiorno tutti noi, e soprattutto i nostri giovani, non riflettiamo mai a sufficienza su questo. Viviamo nella speranza di “passarla liscia” o al massimo possiamo sperare di ridurre tutto a una bravata, di giustificarci con un “non volevo”, “non pensavo succedesse”. E’ colpa del destino. Eppure succede. Succede che delle persone, troppe persone, perdano la vita per delle “leggerezze”, per conseguenze che non erano state considerate. Ci sentiamo, allora, di dire che non è corretto continuare a giustificare o a voler, comunque, attenuare la colpa, magari elencando i “meriti” della famiglia di provenienza. Ma neppure è giusto fare il contrario, cioè incolpare la famiglia per non aver educato bene questi figli.
Bravi ragazzi. Cresciuti in famiglie pressoché modello. Esemplari. Nei fatti di cronaca nera che hanno visto coinvolti dei giovani, con sempre maggior frequenza negli ultimi tempi si evidenzia un rincorrersi nei giornali e telegiornali a voler dimostrare che questi giovani, certo, hanno fatto una ragazzata, una bravata, ma sono sempre stati “bravi”. Indistintamente. Loro e le loro famiglie che li hanno sicuramente educati nel migliore dei modi.
Eppure, bisognerebbe cercare di fermarsi sui fatti e su quelli, senza giudicare chi li ha compiuti né tantomeno la famiglia originaria, che non può essere ritenuta colpevole delle azioni dei figli, cercare di distinguere e sottolineare ciò che è bene da ciò che è male nelle azioni compiute. E quelle negative, sì, condannarle duramente. Perché questi giovani possono essere stati bravi ragazzi fino a un minuto prima di compiere una “bravata”, ma se poi la fanno, devono assumersi fino in fondo le proprie responsabilità.
Se dei giovani escono di casa con un manganello e una pistola e uccidono un loro coetaneo, compiono deliberatamente un atto criminale, qualunque sia il contorno della vicenda. Anche se girano con un coltello o con qualunque arnese atto a offendere.
Se si mettono alla guida dopo aver bevuto o dopo aver assunto droghe, pur leggere che siano, dopo ore trascorse in discoteca con l’intontimento causato dalla musica e dal sonno, commettono deliberatamente un reato e si mettono nelle condizioni di compierne altri. Se fai sorpassi azzardati o guidi a velocità sostenuta, commetti sicuramente infrazioni che possono portarti a incidenti dalle conseguenze mortali. Per te e per gli altri.
E non possiamo far passare l’idea che possedere droga per “farsi una canna”, fosse anche in un giorno di festa, per un giovane d’oggi sia la norma, quindi vada accettato. Dovesse essere anche la maggioranza dei giovani a fumare droghe, possiamo dire apertamente, senza sentirci di un’altra epoca, che è sbagliato?
Ogni parola che pronunciamo e ogni azione che facciamo producono delle conseguenze. E di queste rispondiamo. Forse oggigiorno tutti noi, e soprattutto i nostri giovani, non riflettiamo mai a sufficienza su questo. Viviamo nella speranza di “passarla liscia” o al massimo possiamo sperare di ridurre tutto a una bravata, di giustificarci con un “non volevo”, “non pensavo succedesse”. E’ colpa del destino. Eppure succede. Succede che delle persone, troppe persone, perdano la vita per delle “leggerezze”, per conseguenze che non erano state considerate.
Ci sentiamo, allora, di dire che non è corretto continuare a giustificare o a voler, comunque, attenuare la colpa, magari elencando i “meriti” della famiglia di provenienza. Ma neppure è giusto fare il contrario, cioè incolpare la famiglia per non aver educato bene questi figli.
Nessuno può con certezza affermare che i suoi figli non commetteranno mai dei reati, piccoli o grandi che siano, perché li ha educati ai valori e al rispetto delle regole. Riprendendo e parafrasando le parole del poeta Gibran “I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita”. E sono figli di questa società e di questa cultura che spingono verso una “normalizzazione” di idee e di comportamenti che li stanno privando della libertà di pensare e scegliere da soli, senza seguire la pressione del gruppo per sentirsi accettati. Con la fierezza anche di essere diversi, perciò unici. Lo scrittore americano Mark Twain ammoniva già nel 19° secolo: “Ogni volta che ti trovi dalla parte della maggioranza, è il momento di fermarsi e riflettere”. Fermiamoci a riflettere.