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Il 20 ottobre Giuseppe Allamano sarà santo

Il sacerdote torinese, rivoluzionario della missionarietà, diede vita ai padri della Consolata. Fortissimo, nei decenni, il legame con la terra trevigiana

Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, viene proclamato santo in occasione della Giornata missionaria mondiale. Nipote di san Giuseppe Cafasso per parte di madre, nasce a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851. Frequenta il ginnasio a Valdocco (Torino) e, come educatore, annovera nientemeno che don Bosco. A 22 anni è ordinato sacerdote a Torino e subito incaricato della formazione dei giovani seminaristi e come docente alla Facoltà teologica di Torino. A 29 è rettore del più importante santuario mariano della città, dedicato alla Madonna Consolata, dove ha prestato servizio fino alla morte.

Gli venne affidata la cura anche del santuario di Sant’Ignazio, presso Lanzo Torinese, con annessa una casa per esercizi spirituali.

Il 29 gennaio 1901 fonda a Torino l’Istituto dei Missionari della Consolata. L’8 maggio 1902 partono per il Kenya i primi quattro missionari, due sacerdoti e due fratelli coadiutori, seguiti, alla fine dello stesso anno, da altri quattro sacerdoti e un laico. Nel 1910 Giuseppe Allamano fonda le Missionarie della Consolata, incoraggiato anche da papa Pio X.

Intorno al 1912 si fa promotore dell’istituzione di una Giornata missionaria mondiale, celebrata, poi, dal 1926. Per lui, sacerdote diocesano, la missione era dimensione essenziale della Chiesa. Nell’ottobre 1925 a Pederobba, chiamati dal parroco, Allamano stesso invia alcuni missionari nel trevigiano.

Muore a Torino il 16 febbraio 1926. La sua salma ora è conservata e venerata nella Casa Madre dei missionari della Consolata, a Torino.

E’ stato beatificato da Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990 e la sua memoria è stata fissata per il 16 febbraio. Per approfondire la figura del nuovo santo, abbiamo intervistato padre Piero Demaria, membro del polo culturale (Cam Cultures and Mission) di Torino.

Cosa ha ispirato Giuseppe Allamano, sacerdote diocesano, nella fondazione dell’Istituto missionario?

Sostanzialmente sono due le intuizioni che lo hanno ispirato a fondare l’Istituto missionario. La prima è legata al contesto culturale del tempo, di grande rinascita missionaria anche a seguito all’esplorazione di nuove terre. La seconda è legata all’incontro con Guglielmo Massaia, che era ritornato dalle missioni dell’Etiopia, dei cui racconti di viaggio si è entusiasmato. Allamano maturò l’urgenza del mandato di Cristo di portare a tutti il Vangelo, ma - non potendo partire per le missioni per una salute un po’ fragile - pensò che l’ideale missionario potesse realizzarsi attraverso l’invio dei sacerdoti “migliori” in missione, per un periodo di 5 anni. Da lì, nel 1901 giunse a fondare un istituto missionario per sacerdoti e fratelli laici. Negli anni ’20 c’era un grande bisogno di personale in missione, perché stavano molto aumentando le comunità, e quindi la richiesta di aumentare le possibilità di formare dei giovani per le missioni. L’idea iniziale di Allamano di dare vita a un istituto di soli religiosi piemontesi venne, così, superata, con l’apertura di case in Veneto, Trentino, Lombardia, Puglia e Sardegna. Oggi, dopo quella piemontese, a livello italiano, la maggiore presenza di missionari e missionarie - formatisi per lo più negli anni ’60 e ’70 - è quella trevigiana. L’Istituto è, oggi, una Congregazione internazionale e multiculturale, che conta oltre 900 religiosi suddivisi in 231 comunità.

Oggi siete presenti in 33 Paesi di quattro continenti. Come vive il pensiero del vostro fondatore?

Ci sono tanti elementi importanti del suo pensiero. Innanzitutto la centralità della missione, pur sentendosi e restando sempre un prete diocesano. La nascita dell’Istituto è, infatti, espressione della diocesanità. Il secondo elemento è il desiderio di far conoscere il Vangelo in tutto il mondo. Oggi, come agli inizi, non si va per convertire gli altri o far cambiare loro la religione, ma per annunciare il Vangelo - che chi vuole può accogliere - e per dialogare con le altre religioni. Le sue relazioni e il suo metodo pedagogico erano animati e incentrati su un dialogo fiducioso e amorevole con le popolazioni, con cui i missionari entravano in contatto. Tutto questo si è realizzato in modalità diverse: dalle lezioni di catechismo alle scuole all’aperto nei villaggi, dalle relazioni con la gente alla creazione di dispensari. L’idea di prendere la prospettiva dell’altro, che Allamano condivise con i primi missionari, rivoluzionaria per l’epoca, è ancora attuale.

La centralità dell’incontro insegnata da Allamano ha portato a tracciare alcuni principi missionari che vi caratterizzano. Ce li illustra brevemente?

In primo luogo, richiedeva l’apprendimento della lingua locale del popolo. Ancora oggi, la lingua è la chiave di ogni società. Conoscere la lingua facilita molte cose, elimina inutili conflitti e incomprensioni e crea una base credibile per qualsiasi impegno. Consapevoli di ciò, i primi missionari della Consolata si sono assicurati di essere in grado di comunicare con la popolazione locale. Secondo principio: il rispetto della cultura delle popolazioni locali. I missionari hanno subito scoperto che dovevano amare la cultura dei popoli che incontravano. Questo significava essere disposti a mangiare cibo locale ogni volta che era necessario e, più in generale, a trattare le persone con rispetto.

Il terzo principio: l’ambiente familiare. Giuseppe Allamano ha sempre parlato di “spirito di famiglia”. Si assicurava sempre di far sentire a casa il suo interlocutore e che i missionari cooperassero tra di loro e con la gente. Quarto principio: trasformare il Paese, non solo attraverso l’insegnamento religioso, ma anche formando la popolazione all’agricoltura, all’allevamento del bestiame e alle abilità manuali. Un ultimo principio a lui molto caro riguarda l’ascolto della Parola di Dio, la centralità dell’eucaristia e la devozione a Maria.

Il Trevigiano e Allamano: una storia intensa di vocazioni e di esperienze. Possiamo ricordarla brevemente ai nostri lettori?

Siamo arrivati nell’ottobre del 1925 a Pederobba, ospitati in parrocchia, chiamati dal parroco che aveva sentito parlare dei missionari , probabilmente tramite la rivista del santuario della Consolata, che parlava di missioni, e che era abbastanza diffusa nel nord Italia. Il parroco, forse, aveva pensato che avrebbero potuto formare i giovani della zona con una attenzione anche missionaria. Dieci anni dopo siamo giunti a Vittorio Veneto, con l’apertura di una scuola - fino alla sua chiusura nel 2015. L’ultimo superiore è stato padre Osorio Afonso Citora, mozambicano, nominato lo scorso anno vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo. Nel 1949 siamo arrivati a Biadene di Montebelluna dove abbiamo aperto il seminario minore della Consolata, allora ospitato a villa Pisani, con annesse scuole medie. Lì siamo rimasti fino al 1981. L’ultima apertura è la casa di formazione e spiritualità missionaria “Milaico”, nel 1996, sul Montello, nel comune di Nervesa. E’ un luogo dove operano assieme religiosi e laici per la formazione dei giovani e delle famiglie con un’attenzione alla missione. Attualmente vivono 5 padri.

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