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Di recente, è stato presentato “State trafficking”, un rapporto che denuncia il traffico di migranti alla frontiera tra Tunisia e Libia. Il rapporto è stato realizzato da un gruppo di ricercatori, Rrx, insieme alle associazioni Asgi, Border Forensic e On borders.
Il rapporto contiene 30 testimonianze, di migranti provenienti da diversi Paesi dell’Africa sub-sahariana, che i ricercatori hanno raccolto in due anni, durante differenti viaggi nelle coste ed entroterra tunisino. I racconti in prima persone dei migranti hanno messo in luce una pratica sconvolgente: quella della vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini, e l’interconnessione dell’infrastruttura dei respingimenti con l’industria dei sequestri nelle prigioni libiche.
Tante storie
Cos’hanno in comune queste storie? Attraverso dettagli strazianti e interviste dolorose, i ricercatori hanno identificato cinque fasi di una “catena logistica” che si è integrata e affinata nel tempo e che comprende: l’arresto; il trasporto verso la frontiera libica; la detenzione in campi alla frontiera tunisina; la vendita e il passaggio a corpi armati libici; la detenzione nelle prigioni libiche, per ottenere dai familiari un pesante riscatto. In ogni passaggio, dalla cattura, spesso in mare, fino alla fine, i migranti sono stati picchiati, violentati, torturati in ogni modo possibile. Gli è stato negato il cibo e l’acqua, gli sono stati sequestrati telefoni e altri oggetti personali. Sono stati denudati e umiliati e molti sono morti. Racconta una donna: “Nel bus eravamo circa 30 uomini e 30 donne, c’erano donne incinte e dei bambini. Anche io sono incinta. Nel bus ci picchiavano, noi chiedevamo di toglierci le manette. Volevamo dell’acqua, volevamo fare pipì, niente. Delle donne si pisciavano addosso. Ho ancora i segni delle manette sulle mani. Ci trattavano come dei cani”.
Crimini di Stato
Perché un rapporto sui “crimini di Stato”? Abbiamo chiesto all’avvocato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), di illustrarci i contenuti del rapporto. Siamo partiti dal titolo che nella sua traduzione in italiano è “Tratta di Stato”, e “individua un sommario delle violazioni dei diritti umani nel corso delle operazioni di espulsione e tratta, così come una riflessione giuridica sullo status di «Paese sicuro» assegnato alla Tunisia, al suo ruolo di partner e beneficiario economico nella gestione della frontiera esterna della Ue”. Il perché di questo rapporto “sta nella tragedia che è sotto gli occhi di tutti, nel senso che, tramite i racconti delle persone che arrivano dopo queste traversate del Mediterraneo, e che, una volta giunti nel nostro Paese, chiedono asilo, si è arrivati a focalizzare l’attenzione su questa situazione terribile. Ancor di più, abbiamo prove di tutti i generi su quanto sta succedendo tra la Tunisia e la Libia, alla luce, anche, delle dichiarazioni del presidente Saïed e della sua svolta securitaria, che ha dato luogo a una vera e propria caccia alle persone di colore. Queste, provenienti da zone già devastate da povertà e da violenze, vengono dapprima catturate e recluse, poi vendute a gruppi armati libici, e trattenuti in centri che ricordano i lager. Sono situazioni di una gravità inaudita”.
Alcuni dei responsabili di questi centri “sono già stati condannati in Italia per le atrocità perpetrate, come ad esempio Matammud, condannato all’ergastolo per la gestione del campo di detenzione di Bani Walid. Queste condanne sono state possibili per la mole di testimonianze, di video e di materiale istruttorio, che mettono anche in luce quanto sia stata assurda e sconcertante la liberazione di Almasri, colpito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Da questo contesto è nata l’esigenza di portare un contributo giuridico rispetto allo status di «Paese sicuro» assegnato alla Tunisia”.
Nei campi, la violenza e la tortura sono sistematiche, generalizzate e ripetute; sono praticate contro i gruppi in modo collettivo, e singolarmente contro gli individui, da personale in uniforme a viso scoperto. Le interviste riportano l’uso di: barre di ferro, bastoni, pistole taser, minacce con cani, proiettili sparati in aria. La violenza si dirige contro uomini e donne che a volte condividono gli stessi spazi, a volte sono trattenuti in luoghi separati. Campo dopo campo, i prigionieri sono soggetti agli stessi rituali di perquisizione, violenza e umiliazione. Le perquisizioni hanno, da un lato, l’obiettivo di assicurare ulteriormente che nessuna comunicazione con l’esterno possa avvenire attraverso telefoni cellulari, dall’altro di sottrarre a fini di rapina ogni bene residuo, che i prigionieri possono aver nascosto.
Cosa emerge? “Abbiamo sotto gli occhi del mondo una serie di violazioni incredibili - incalza il presidente dell’Asgi - che evidenziano violazioni a vari livelli del diritto internazionale: dalla detenzione arbitraria alla discriminazione razziale, dai respingimenti collettivi alla tratta di esseri umani, dalla violenza di genere alla riduzione in schiavitù, dalla tortura e trattamenti inumani e degradanti ai crimini contro l’umanità. Una galleria degli orrori che, ahimè, si collocano e rappresentano un po’ tutto quello che sta succedendo oggi a livello internazionale”.
Diritti umani addio
Secondo Trucco, infatti: “Siamo davanti a un arretramento dei livelli di civiltà non solo giuridica, ma anche etica, in cui siamo sprofondati”. Questo report vuole portare un contributo su quanto sta avvenendo per lo più nell’indifferenza generale di questo buco nero in cui siamo caduti per quanto riguarda i principi base della civiltà”.
E aggiunge: “È un momento in cui assistiamo a un oscuramento dei diritti umani. Si pensi che, come ebbe a dire il filosofo del diritto Norberto Bobbio, la vera invenzione del Novecento è stata l’elaborazione del sistema dei diritti umani, prima inesistente: pensiamo alla Convenzione dei diritti dell’Uomo, alla Convenzione di Ginevra sul diritto di asilo, ma anche alla nostra Costituzione, o ai Trattati fondativi dell’Unione europea e alle varie Convenzioni che ne sono scaturite. Tutti documenti che hanno messo in atto questo sistema di promozione e tutela dei diritti umani. Un sistema a volte efficace, a volte meno efficace, ma che. purtroppo. oggi vediamo si sta da più parti cercando di scardinare”.
Cosa possiamo fare? “Io credo - conclude l’avvocato - che dobbiamo uscire da una sorta di fallimento culturale per cui pensiamo di essere incapaci di rompere queste dinamiche di disumanizzazione, che legano povertà a immigrazione irregolare, vendita di esseri umani a centri di detenzione all’estero. Io credo che ciascuno nel suo piccolo, per le sue competenze, deve prendersi delle responsabilità. Solo uniti possiamo pensare di salvarci da questa situazione, cercando di superare le divisioni e di essere concreti, recuperando dei valori forti”.
Nei giorni scorsi c’è stato il secondo anniversario del naufragio di Cutro (notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023), dove lo Stato non era presente a ricordare le 94 vittime. La tragedia, frutto di mancati soccorsi, evidenzia l’urgenza di politiche umane e responsabili. Dinanzi a questo, però, “si individuano dei segni di speranza. I sopravvissuti di Cutro e le reti della società civile stanno dimostrando che sono possibili altre strade”. (Enrico Vendrame)