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L’insediamento di Donald Trump: chiamatelo imperatore, non messia

Lo storico delle religioni Massimo Faggioli commenta le parole del Presidente, che ha detto di essere stato salvato da Dio per fare grande l’America: “Parole strumentali e svuotate”
23/01/2025

Ha appena scritto un libro intitolato “Da Dio a Trump” (edizione Scholé). Il prof. Massimo Faggioli, storico delle religioni, docente all’Università di Villanova, nello Stato Usa della Pennsylvania, è dunque l’uomo giusto per aiutarci a comprendere una cerimonia d’insediamento, quello di Donald Trump, avvenuta lunedì scorso, intrisa di riferimenti religiosi, nella quale il Presidente degli States ha affermato di essere stato “salvato da Dio”, per “fare grande il Paese”.

Che ne pensa, professore, di questo Trump, in versione “nuovo messia”?

Donald Trump non è certo il primo presidente degli Stati Uniti ad adoperare riferimenti religiosi, in un Paese che ha sempre tenuto separati Stato e Chiesa, ma mai religione e politica. A mio avviso, però, Trump agita la dimensione religiosa in modo totalmente strumentale, senza neppure fingere di mostrare di crederci veramente. Si tratta, mi pare, di uno “strappare i veli” alla dimensione religiosa, trasformandola in puro strumento di potere e di guadagno.

Come è potuto accadere?

Trump ha capito che gli Stati Uniti sono, in realtà, un Paese del tutto secolarizzato, in cui il riferimento alla religione è solo un guscio vuoto, senza alcun riferimento al Vangelo, o al richiamo morale. A suo modo, il presidente è brutalmente sincero. Usa la religione e lo mostra platealmente, mentre vescovi, preti, il rabbino, pregano per lui, in occasione del giuramento. Non si tratta, insomma, di credere, ma di fingere di credere, mentre avanza, con il nuovo ruolo di Elon Musk, una visione di “nuova umanità” quasi “futurista”, che ha qualche connessione con quella di Filippo Tommaso Marinetti, con il futurismo italiano di circa un secolo fa. A me hanno fatto impressione, i leader religiosi presenti al giuramento del Presidente, mi sono sembrati, metaforicamente, completamente “nudi”.

E, a suo avviso, se ne “rendevano conto”?

La domanda me la sono posta anch’io. Forse siamo dentro a una finzione, nella necessità di avere buoni rapporti politici. Ma quello che è evidente è il processo di “svuotamento ” delle realtà religiose, in particolare del protestantesimo evangelicale, che ormai è una specie di partito politico, che non ha nulla di cristiano. Attenzione, però: anche la Chiesa cattolica rischia di vivere un processo simile.

Si prospettano tempi duri, nel rapporto tra papa Francesco e Donald Trump?

Io ho notato una forte indifferenza per il messaggio che il Papa ha rivolto al presidente, nelle parole del cardinale Timothy Dolan alla cerimonia d’insediamento. I leader dell’episcopato sono riluttanti nel notare certe cose, rispetto a quello che sta succedendo nel Paese. Dalla stessa Conferenza episcopale, più che una visione, arrivano dei richiami spesso sterili, in particolare sui temi dell’aborto e su quello dei migranti, ma c’è difficoltà a confrontarsi sull’agenda di destra di Trump. Tra l’altro, pochi hanno notato che il tema del no all’aborto è praticamente sparito dalla campagna dei Repubblicani. Rispetto a otto anni fa, però, c’è un tema che in qualche modo “connette” Trump e il Papa, quello della pace, specialmente in Ucraina e in Medio Oriente.

Come si spiega il consenso di molti “poveri”, spesso di origini latinoamericane?

Questo è un vero e proprio trauma, per il cattolicesimo progressista. Molti Democratici si erano illusi che gli ispanici avrebbero votato contro Donald Trump. Non è stato così, e si è evidenziato un problema di trasmissione di cultura democratica, che non è avvenuta. Spesso, i latinoamericani hanno a che fare con esperienze politiche di matrice populista.

Cosa possiamo aspettarci, dai prossimi quattro anni?

Nessuno sa cosa succederà. Otto anni fa c’era un Partito repubblicano forte, nel quale l’establishment controllava il presidente. Oggi, le Istituzioni si stanno trasformando in una Corte imperiale, e lo stesso Trump ha già mostrato il suo lato imperiale, con la conseguenza che ciò che vuole l’imperatore è legge, non ciò che dice la Costituzione. La grazia concessa agli assalitori di Capitol Hill, che se l’erano presa con la polizia, è gravissima. Un’altra cosa rilevantissima è la presenza di Musk e degli altri “padroni dell’universo”. Vediamo un imperatore circondato dai suoi “oligarchi”.

In chi o cosa dobbiamo sperare?

La cosa paradossale è che si debba sperare nella fedeltà alla democrazia dell’Esercito e degli apparati di sicurezza. Finora, sono gli unici poteri che hanno resistito. Per il resto, i sindacati non esistono più, l’informazione è in mano agli “oligarchi”.

Almeno, Trump porterà la pace?

C’è un vecchio paradosso: i Democratici iniziano le guerre, i Repubblicani le finiscono. Trump promette meno ipocrisia e più franchezza. Ricordiamoci, però, che otto anni fa non parlava di invadere Panama e la Groenlandia. Dubito che lo farà, ma è un modo forte per fare pressione su Paesi che, tra l’altro, sono pure alleati. La cosa potrebbe sfuggire di mano.

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