mercoledì, 29 gennaio 2025
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Ancora silenzio sulla detenzione di Alberto Trentini in Venezuela. Un po’ di “luce” dalle voci che arrivano dal Sudamerica

Ancora nessun capo d’imputazione e notizia sul luogo di detenzione, per il cooperante veneziano. Fonti anonime e le parole del braccio destro di Maduro fanno intravedere scenari “complicati”. Da famigliari e amici una petizione e appelli alle autorità
24/01/2025

Sì è pregato, domenica scorsa, al Lido di Venezia, per la liberazione del cooperante Alberto Trentini, 45 anni, da due mesi detenuto in Venezuela, e per sostenere la sua famiglia. Il parroco di Sant’Antonio, don Renato Mazzuia, ha espresso in vari modi la sua vicinanza ai genitori del cooperante, di cui dal 13 dicembre non si sa nulla: nessun capo d’imputazione, nessuna possibilità d’incontro con l’ambasciatore, nessuna notizia sul luogo di detenzione. Giulia Palazzo, amica di lunga data di Alberto, ha promosso, attraverso Change,org, una petizione che ha raggiunto decine di migliaia di firme. L’appello è chiaro: “Assicurare ad Alberto assistenza consolare, legale e medica”, ma, soprattutto, “permettere contatti regolari con i suoi familiari e avvocati – spiega al Sir –. Siamo pronti a fare pressione mediatica per Alberto”. Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, commenta al Sir: “Alberto Trentini, lavora per l’Ong francese Humanity e Inclusion, era in Venezuela dal 17 ottobre 2024, ed era conosciuto come un cooperatore esperto, faceva il suo lavoro senza occuparsi di faccende politiche. Secondo la Ong Foro Penal, oggi in Venezuela ci sarebbero 1.687 detenuti politici; di questi, 26 sarebbero stranieri e 31 sono cittadini venezuelani, ma anche con il passaporto di un’altra nazione”.

Una “fonte anonima” dal carcere di Caracas

È in questo contesto che arriva, all’agenzia Sir, la testimonianza di un venezuelano che chiede di mantenere segreta la sua identità, perché lavora all’Helicoide, l’enorme “piramide” che a Caracas ospita il maggiore carcere del Paese, tra cui i detenuti politici, ma anche la sede del Sebin il servizio di intelligence. Non porta notizie certe, ma la sua conoscenza del “sistema” lo porta a formulare alcune ipotesi, tre in particolare. “Io non so dove stia ora – spiega –, ma conosco come funziona il sistema qui in Venezuela, faccio delle ipotesi. Prima di tutto dico che i cittadini stranieri arrestati vengono rispettati, godono di una posizione di riguardo, di tutela, sicuramente migliore di un cittadino venezuelano, ma questa situazione appare molto anomala e strana, perché ai cittadini stranieri detenuti viene sempre permessa la visita dell’ambasciata del loro Stato di provenienza. Il cittadino italiano potrebbe essere detenuto dal Directorio general de Contro-insurgencia militar (il controspionaggio militare, ndr) che ha l’obiettivo di combattere lo spionaggio interno ed esterno. Ha sede a Petare, nell’hinterland di Caracas, nello Stato di Miranda”. Oppure, ed è questa la seconda ipotesi, “il cittadino italiano potrebbe essere detenuto nella sede dei servizi segreti, del Servicio bolivariano di inteligencia nacional (Sebin), nel sottoterra dell’Helicoide dove è molto difficile l’accesso dei familiari dei detenuti, le celle sono di massima sicurezza, non si vede la luce del sole”. Infine, “il cittadino italiano potrebbe essere sotto la custodia delle squadre speciali del Faes e se fosse, ipoteticamente, in mano al Faes, allora di potrebbe complicare tutto, perché si tratta, di fatto, di forze paramilitari, anche si ufficialmente sono forze speciali di polizia, create nel 2016”.

La fonte confidenziale conclude affermando che “per difendere la sovranità nazionale, qualsiasi persona con cittadinanza straniera, sia un turista, un imprenditore o un operatore umanitario, se diffonde sulle reti sociali, come Facebook o Whatsapp, messaggi contro il Governo, viene considerato ‘sospechoso’, degno di sospetto, dall’apparato statale di sicurezza, che inizia a investigare sul cittadino straniero”.

Le parole del ministro Cabello sui “mercenari”

Nel frattempo, dal Sudamerica, portano qualche ulteriore elemento per cercare di comprendere le motivazioni dell’arresto del cooperatore veneziano. Morsolin riferisce al Sir di importanti parole pronunciate dal ministro dell’Interno del Venezuela Diosdado Cabello (qualcosa di più di un semplice “numero due”, nello scacchiere di potere di Caracas): “Durante una conferenza stampa, il 20 gennaio, il Ministro degli Interni Diosdado Cabello ha affermato che il Venezuela ‘esige il rispetto della Repubblica bolivariana del Venezuela da parte della comunità internazionale; per questo abbiamo dato un segnale preciso: abbiamo ridotto il personale delle Ambasciate di Francia e di altri Paesi (Italia e Olanda, ndr). In un contesto di grave destabilizzazione, abbiamo scovato 195 mercenari stranieri, che abbiamo arrestato qui in Venezuela, anche se, mettono davanti il nome delle ong per fare rumore”.

Parole, forse, “illuminanti”, nella logica interna delle autorità del Paese, mentre fonti consultate a Caracas e a Bogotá, capitale della Colombia, portano a possibili collegamenti fra Alberto Trentini e l’ong danese “Danish refugee council” (Drc – Consiglio danese per i rifugiati).

Il collegamento con un ong danese e con un altro arrestato, colombiano

Secondo Morsolin “il caso Trentini potrebbe essere collegato a quello dell’ingegnere colombiano Manuel Alejandro Tique Chaves, anch’egli cooperante della Drc, in carcere da quattro mesi come sospetto ‘reclutatore di paramilitari’, come, del resto, è stato riportato anche da altre testate; la sua cattura pare ricalcare in pieno lo schema seguito per l’arresto di Trentini. A unire i due cooperanti è, appunto, l’ong per cui entrambi hanno lavorato, in Colombia: da febbraio del 2023 ad aprile del 2024 Trentini ha operato direttamente con Drc, mentre, da due anni a questa parte, vi lavorava Tique Chaves”. Lo scorso 14 settembre, quest’ultimo è stato bloccato mentre si stava recando a Guasdualito. È la medesima città del Venezuela, situata in prossimità del confine, in cui, il 15 novembre 2024, sarebbe stato fermato Trentini. Víctor Tique Chaves, padre di Manuel Alejandro, parlando all’emittente colombiana W Radio, ha affermato: “Alla frontiera, quando ha presentato il suo passaporto, è stato arrestato dalla Direzione generale del controspionaggio militare”. Cioè da quello stesso organismo (Dgcim) che due mesi dopo avrebbe preso in consegna pure il cooperante veneto. Per ambedue non è stato mai comunicato il luogo di detenzione.

Una vicenda molto intricata

Sempre Cabello, il 17 ottobre 2024, aveva citato Tique Chaves fra i 19 cittadini stranieri catturati in aggiunta a 13 venezuelani, in quanto asseritamente coinvolti in “una grande cospirazione contro il Venezuela”. E aveva aggiunto: “A tutti questi cittadini stranieri vengono garantiti i loro diritti, ma i loro Governi devono assumersi la responsabilità del fatto che vengono in Venezuela per cospirare contro un Paese, per attaccare obiettivi civili e militari, obiettivi di servizio pubblico, per danneggiare il nostro Paese”.

Insinuazioni fermamente respinte dal padre del cooperante colombiano: “Mio figlio è un ingegnere industriale che si occupa di questioni ambientali ed è entrato a far parte dell’ong per lavorare su base umanitaria. Questa organizzazione assiste i venezuelani in Colombia con un po’ di soldi, cibo, quel genere di cose”.

Conclude Morsolin: “L’arresto del cooperante Trentini sembra intrecciarsi con il complesso conflitto armato e sociale oggi molto attivo alla frontiera tra Colombia e Venezuela, seguendo la pista dei ‘mercenari stranieri’. Considerando che il cooperante Trentini ha lavorato sia per la ong danese Drc in Colombia sia per la ong francese Humanity e Inclusion, che era in Venezuela dal 17 ottobre 2024, che il governo del Venezuela ha deciso di ridurre il personale delle ambasciate sia della Francia che dell’Italia, le recenti affermazioni del ministro degli interni Cabello offrono inquietanti chiavi interpretative”.

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