L’Indo-Pacifico e la Cina
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La "cultura della cura" è un percorso di pace, sempre più necessario per debellare quell’altra cultura, oggi spesso prevalente, dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro. Un tale progetto richiede un processo educativo che coinvolga sia le singole persone, sia i grandi pilastri della formazione e dell’educazione
All’inizio di questo nuovo anno, penso sia necessario assumere come impegno personale e comunitario quello di “prendersi cura dell’altro” e, conseguentemente, di favorire la nascita di una “cultura della cura”, così come ha indicato papa Francesco nel messaggio per la 54ª Giornata per la pace. Dal testo - e non poteva essere diversamente - emerge come in filigrana quanto Francesco ha scritto nell’enciclica “Fratelli tutti”, in particolare lì dove parla della necessità di un nuovo patto sociale fondato sull’incontro come cultura e sul giusto riconoscimento dell’altro.
La “cultura della cura” è un percorso di pace, sempre più necessario per debellare quell’altra cultura, oggi spesso prevalente, dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro. Evidentemente, un tale progetto richiede un processo educativo che coinvolga sia le singole persone, sia quei grandi pilastri della formazione e dell’educazione che sono la famiglia, la scuola, i media, le parrocchie, le istituzioni civili.
Le famiglie, in particolare, sono chiamate a una “missione educativa primaria e imprescindibile. Esse, infatti, costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della condivisione e della cura dell’altro” (Laudato Si’ 114).
In tale impegno per la pace attraverso la cura dell’altro, Francesco offre anche quella che definisce una “grammatica” o delle priorità, alle quali è necessario dedicare energie e passione perché esse, ancora oggi, sono come i nervi scoperti della nostra società: la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato.
La cura del bene comune
Il Papa più volte nei suoi interventi ritorna sull’idea che il vero bene di ciascuno è il bene comune. Anche in questa situazione di pandemia la risposta sociale sta nella politica del bene comune pubblico, per cui una società sana deve prendersi cura della salute di tutti, perché nessuno si salva da solo. Anzi, come disse la sera del 27 marzo, in quella piazza san Pietro deserta e sferzata dalla pioggia, «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme».
Sappiamo bene che, anche in questi tempi calamitosi, accanto a tante forme di solidarietà verso chi vive in difficoltà sanitarie ed economiche, non mancano coloro, singole persone e istituzioni economiche e produttive, che remano per conto loro con scarsa attenzione al bene comune. La logica che li anima è sempre quella dell’“ognuno si arrangi”. Ne “approfittano” della crisi, seppur anche in modo lecito, sviluppando i propri settori produttivi o commerciali e, così, si arricchiscono a dismisura, senza porsi il problema se non sia doveroso rendere partecipi dei cospicui profitti anche gli altri, quelli, ad esempio, titolari di certe attività commerciali che, invece, hanno dovuto tener chiuso per il lockdown. Purtroppo, succede sempre così. Anche durante le guerre c’è chi si arricchisce e chi perde tutto; c’è chi fa i soldi fabbricando e vendendo armi e chi invece li fa con il mercato nero o con lo strozzinaggio. Alla fine di tutto arrivano anche quelli che speculano sui fondi destinati alla ricostruzione post bellica.
Una rinnovata coscienza civica
Nella situazione drammatica che stiamo vivendo, con l’incalzare della terza ondata del contagio, la cura del bene comune comporta, in particolare, il dovere di essere rigorosi nell’osservare le norme sanitarie volte a contenere la diffusione del virus e a limitarsi nell’esercizio delle proprie libertà individuali. Come giornale non ci stanchiamo di ripeterlo e di contribuire a promuovere una nuova coscienza civica, più attenta al bene comune e alla solidarietà.
C’è poco da rimanere stupiti se, durante queste festività, più di qualcuno non ha “potuto” rinunciare agli assembramenti, alle feste, ai botti e all’eludere le restrizioni. Forse non si tratta di incoscienza o solamente di insensibilità verso quel prezioso bene comune che è la salute, quanto piuttosto di una visione contorta e assurda della libertà, per la quale tutto è sacrificabile per il “mio” personale bene. Come ci ricorda papa Francesco, ogni scelta o azione personale deve sempre tener conto delle conseguenze, sia nel momento presente, sia per le generazioni future.