Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Editoriale: tra valori e bene comune
Le elezioni politiche suscitano tanti interrogativi e perplessità tra i cittadini, parecchi dei quali sono indotti a disertare le urne, perché ormai nauseati dalla politica e da tante promesse non mantenute. Per molti cattolici, ancora orfani della Democrazia cristiana, si aggiunge un ulteriore problema: non riescono a trovare il partito “giusto” che li rappresenti in modo adeguato sul fronte dei valori fondamentali o dei così detti “temi caldi”.
Come sempre le elezioni politiche suscitano tanti interrogativi e perplessità tra i cittadini, parecchi dei quali sono indotti a disertare le urne, perché ormai nauseati dalla politica e da tante promesse non mantenute. La confusione, poi, tra i partiti e le loro proposte elettorali fantasiose e a volte stravaganti, con la ridicola gara a chi la spara più grossa al fine di accalappiare “clienti”, non aiutano certo gli elettori a farsi una idea sensata e realistica e a stimolarli al voto.
Per molti cattolici, ancora orfani della Democrazia cristiana, si aggiunge un ulteriore problema: non riescono a trovare il partito “giusto” che li rappresenti in modo adeguato sul fronte dei valori fondamentali o dei così detti “temi caldi”.
Opzioni diverse e unità della fede
Molti cattolici non sanno capacitarsi del fatto che essi simpatizzino o militino un po’ in tutti i gruppi politici, anche in quelli che si distaccano, per vari aspetti, dall’antropologia cristiana; ossia che la stessa fede porti a scelte politiche, a volte, così tanto diverse. Su questo versante già Paolo VI scriveva nella “Octogesima adveniens” che “bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi” (n.50).
E Giovanni Paolo II aggiungeva nella “Christifides laici”, che “i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla politica... le difficoltà e le tentazioni ad essa connesse, non giustificano né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica”. Certo, rimane vero che l’adesione a scelte e partiti diversi può comportare anche una certa divisione tra cristiani dentro le stesse comunità, soprattutto per il modo con cui vengono visti e affrontati determinati problemi (pensiamo solo all’accoglienza dei migranti). Le opzioni diverse non possono, però, arrivare a pregiudicare l’unità della fede in Gesù Cristo e della sua Chiesa. Per questo Giovanni Paolo II, sempre nella “Christifideles laici”, rivolge l’appello ai cristiani che sembrano a prima vista opporsi partendo da opzioni differenti, uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro. Stilare una classifica su chi è più “cattolico” e fedele al Vangelo o ai richiami dei vescovi, va nella direzione opposta e non ha senso.
Non “Aut aut”
Come diceva di recente il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, il vero cuore del problema non sono tanto le formule organizzative, ma il come portare in politica la cultura del bene comune. Poi, come cattolici, possiamo anche avere sensibilità e visioni diverse circa la difesa e il sostegno di alcuni valori, consapevoli che la loro proclamazione non ci mette con la coscienza a posto e che anche sui valori non possiamo, come credenti, stilare una classifica tra quelli più o meno cristiani e ingaggiare battaglia tra noi. A volte sta qui il nodo. Sempre il card. Bassetti, dice che i cattolici devono essere ben attenti a non dividersi in “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”, perché non è possibile prendersi cura dei migranti e dei poveri e poi dimenticarsi del valore della vita, come, al contrario, non si può farsi paladini della cultura della vita e dimenticarsi dei poveri e dei migranti, contribuendo magari, a volte, a sviluppare sentimenti di ostilità.
In questa complessa e variegata situazione comprendiamo come sia difficile avere chiarezza. Anche la pratica di “chiedere lumi” al parroco in tale contesto serve a poco. Non ne vale la pena. Meglio informarsi attraverso giornali e televisioni, affrontare qualche confronto, valutare e poi in coscienza fare responsabilmente una scelta, la quale tante volte sarà quella del male minore.
Il dovere di partecipare
Dobbiamo, dunque, farcene una ragione: come credenti siamo tenuti ad andare a votare, a fare cioè il nostro dovere di cittadini per il bene comune. Anche se a malincuore o, come diceva a suo tempo il giornalista Indro Montanelli, turandoci il naso, dobbiamo partecipare alla vita politica del nostro Paese. Cercando di non dimenticare mai che la partecipazione alla politica, sia attiva che passiva, è un modo alto di vivere e testimoniare la carità; una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri. Trascurare questo dovere sociale o temporale, comporta per un cristiano il mettere in pericolo la propria salvezza (GS 43).