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Editoriale: Cose d'altri tempi

Noi, che siamo convinti repubblicani, ci sentiamo mille miglia lontani dai riti e dalle contumelie delle monarchie ancora regnanti nel nostro continente. Per questo siamo grati a quegli italiani che nel referendum del 2 giugno 1946 hanno definitivamente affossato la nostra compromessa monarchia

11/05/2023

Sono riuscito a vedere qualche spezzone della faraonica cerimonia di incoronazione di re Carlo III, una cosa d’altri tempi e fuori dal processo della storia. La mia impressione è che l’istituto monarchico inglese viva ancora di nostalgia verso un fulgido passato, e non si sia lasciato trasformare dalla modernità. Gli entusiasti difensori della corona sostengono che, tuttavia, la famiglia reale è molto presente nel Paese attraverso iniziative sociali, caritative e a difesa dell’ambiente. Ci mancherebbe altro che coloro che sono mantenuti, persino nei loro eccentrici e vetusti apparati, dai soldi dei cittadini non si diano un po’ da fare per i loro “sudditi”! Resta il fatto, però, che i segni che si pongono, come in questo caso quello di riesumare nella sua integrità il vetusto rituale di incoronazione, sono sempre indicativi del proprio background, o retroterra o sottofondo psicologico, sociale e culturale. In altre parole, di quello che effettivamente si pensa di se stessi, del proprio ruolo e del rapporto con gli altri.

Persino le Chiese sono cambiate
Il sovrano era talmente carico di orpelli d’ogni genere che, al confronto, l’arcivescovo di Canterbury che presiedeva il rito, per la sobrietà delle vesti liturgiche che indossava, sembrava disadorno.
Bisogna dire che le Chiese, almeno quelle occidentali, hanno cercato da tempo di semplificare il proprio cerimoniale e di evitare nelle vesti e nelle scenografie di scivolare nella vanità e nel trionfalismo. Noi cattolici abbiamo abolito il rito d’incoronazione del Papa (che non porta più la tiara) e le nostre liturgie, dopo la riforma promossa dal Vaticano II, pur mantenendo una certa solennità sono, al tempo stesso, anche sobrie ed essenziali. Molto diverse dalle forme imponenti dell’epoca barocca, durante la quale la liturgia, quanto mai fastosa nella sua polifonia, nei riti, nei paramenti e nell’architettura, voleva quasi esprimere con il suo “trionfalismo” la vittoria contro l’eresia protestante.
La monarchia inglese, invece, non demorde, a costo di apparire fuori del tempo. Tanto che re Carlo - bardato oltre misura di vesti, cappe di ermellino, monili e insegne tempestate di pietre preziose, e poi sottoponendosi a unzioni crismali, spogliazioni e successive ri-vestizioni - sembrava più un faraone o un monarca medievale che un moderno re del XXI secolo.

A molti piace così
Dicono, però, che agli inglesi piaccia così (molto meno ai giovani, se è vero che solo un 20% si dice interessato alla monarchia) e che certe sfarzose cerimonie li faccia sentire orgogliosi e superiori agli altri e, in qualche modo, ancora protagonisti di un impero che ormai esiste solo nei libri di storia. Anzi, quel poco che è rimasto sta progressivamente dissolvendosi sotto l’incalzare delle spinte repubblicane autonomiste, che da tempo agitano i Paesi che ancora fanno parte del Commonwealth e anche in qualcuna delle quattro nazioni che costituiscono il Regno Unito.
Certamente, lo sfarzo e la imponente scenografia possono essere sembrati a molti piacevoli. Forse un po’ meno lo sfoggio degli strani cappellini, di ogni forma e colore, portati dalle nobildonne presenti. Per non parlare dei vistosi e sgargianti mantelli, cappe e blasoni indossati da nobili e dai pochi privilegiati insigniti dell’ordine medievale della Giarrettiera. Per questo penso che qualcuno, pur avendo guardato con piacere un tale spettacolo, a un certo punto abbia anche ceduto alla tentazione di associare cotante varietà e stranezze al nostro carnevale veneziano.

Con qualche eccezione
In tutto questo sfarzo e tanta rigidità formale, si è fatto notare il piccolo Louis, terzogenito del principe ereditario William, diventato la vera star dei social, il quale, sia in chiesa che successivamente sul balcone reale, non ha smesso di sbadigliare, gesticolare e fare boccacce, portando così in mezzo a tanta compassata formalità e sorrisi di circostanza, un po’ di spontanea normalità.
Come anche, a suo modo, il secondogenito del re, il “ribelle” principe Harry, apparso intristito, isolato e quasi ignorato da tutti, relegato in terza fila, senza alcun abito nobiliare addosso e senza le insegne reali e i gradi militari dei quali è stato privato. L’unica cosa che esibiva erano le medaglie meritate sul campo di battaglia in Afghanistan, guerra alla quale il fratello William non ha partecipato per volere della regina. Perché, da sempre, i regnanti preferiscono sacrificare i figli cadetti (lo “spare”, il figlio minore o di “riserva”) pur di salvaguardare l’integrità dell’erede al trono e del patrimonio reale.
Anche in questo caso, tra tanto ostentata compostezza e armonia, il principe, con la sua imbarazzante presenza, ha portato un po’ di normalità, ricordando agli entusiasti sudditi che neanche nella famiglia reale tutto quello che luccica è oro, perché anch’essa è attraversata da tensioni, beghe e ostracismi, tradimenti, divorzi e, persino, da qualche grave scandalo prontamente “coperto”, a suon di milioni di sterline, dalla defunta regina. E che queste cose non possono essere certo nascoste sotto il tappeto, né esorcizzate da una incoronazione.
Piuttosto, chi per il ruolo che ricopre è chiamato a “servire il popolo e non a essere servito” dovrebbe ammantarsi non tanto di gioielli, di vesti sontuose, di titoli e di benemerenze, quanto piuttosto di coerenza, semplicità e trasparenza.
Noi, che siamo convinti repubblicani, ci sentiamo mille miglia lontani dai riti e dalle contumelie delle monarchie ancora regnanti nel nostro continente. Per questo siamo grati a quegli italiani che nel referendum del 2 giugno 1946 hanno definitivamente affossato la nostra compromessa monarchia.

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