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Editoriale: Ceneri e coerenza di vita

Anche quest’anno sarà per noi una Quaresima particolare, perché segnata dall’epidemia. Possiamo ben dire che quanto stiamo vivendo è già una grande penitenza. Per fare una buona Quaresima ci manca solo l’impegno di convertirci al Vangelo e, quindi, anche al prossimo, alla solidarietà e a uno stile di vita sobrio e responsabile

15/02/2021

La Quaresima, tempo di penitenza e di conversione, inizia con il rito dell’imposizione delle ceneri. Anche quest’anno sarà per noi una Quaresima particolare, perché segnata dall’epidemia e da tante morti, ma anche da gravi problemi di lavoro e di famiglie in grosse difficoltà economiche. Il virus, oltre che aggredire la nostra salute, ha minato anche le relazioni umane, la pace sociale, l’economia e la fiducia nel futuro. Ha costretto molti a tirare la cinghia e a diventare più poveri e marginalizzati. Possiamo ben dire che quanto, senza volerlo, stiamo vivendo è già una grande penitenza. Per fare una buona Quaresima ci manca solo l’impegno di convertirci al Vangelo e, quindi, anche al prossimo, alla solidarietà e a uno stile di vita permanente sobrio e responsabile.

Imporre le ceneri sul capo è un gesto di umiliazione e una supplica a Dio per ricevere il perdono dei peccati. Nella Bibbia troviamo un significativo esempio nel profeta Giona che intima agli abitanti di Ninive di convertirsi dalle opere malvagie e dalla violenza che grondava dalle loro mani e di supplicare la misericordia di Dio, facendo digiuno, vestendo di sacco e sedendosi sulla cenere. Nelle Scritture il simbolo del sacco e della cenere manifesta visibilmente la sincerità del dolore e del pentimento e indica l’impegno per la conversione del cuore.

Senza tale pentimento e impegno, le ceneri che riceveremo mercoledì e il digiuno a cui ci sottoporremo, saranno gesti vuoti e illusori, un modo pio e devoto con cui inganniamo noi stessi e ci prendiamo gioco della misericordia di Dio.

I potenti e la cenere sul capo

Anche la storia ci segnala molti episodi di persone e di potenti che si cospargono il capo di cenere e vestono di sacco. Su tutti il più noto è, forse, quello che ha come protagonista nel 1077 l’imperatore Enrico IV che pretendeva di sottrarre al Papa la nomina dei vescovi. Gregorio VII lo scomunicò e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà. E così, molto mal volentieri, Enrico dovette recarsi a Canossa, dove il papa era ospite della contessa Matilde, e attendere per tre giorni inginocchiato, a piedi scalzi, vestito con un saio e con il corpo cosparso di cenere, di essere ricevuto dal papa per chiedere perdono. Si trattò, come si poteva prevedere, di una vera formalità giacché, ottenuto quanto richiesto dopo tanta ostentazione di umiliazione, il penitente ritornò a essere, e a governare, come prima. Proprio altri tempi. Tuttavia, i potenti e i ricchi che commettono soprusi, gravi errori e ingiustizie ci sono anche oggi. Penso non solo a coloro che governano i popoli e le nazioni, ma anche a tutti quelli che gestiscono e manovrano l’economia, la finanza e le armi, passando sopra alla giustizia, all’onestà, alla solidarietà, gettando tante persone sul lastrico per il proprio tornaconto. Al male fatto, o agli errori commessi bisogna, però, sempre riparare, altrimenti si consolidano e, anzi, aumentano, le disuguaglianze, le spaccature e le divisioni sociali.

Un dono per essere liberi

La Chiesa, in questi anni, ha avuto il coraggio di chiedere perdono per tante vicende passate e recenti che l’hanno coinvolta sia come istituzione, sia nei suoi ministri. Si è umiliata, non senza suscitare il disappunto di quei cristiani che sono preoccupati della sua perdita di prestigio o che, comunque, ritengono sia sempre giustificabile qualunque sua colpa o peccato.

Penso che l’imposizione delle ceneri sul nostro capo, con l’appello «Convertiti e credi al vangelo» o il monito «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» che ci vengono rivolti, dovrebbe provocarci a emendare la nostra vita e a sentire questa rito come un dono. Perché è noto che solo confessando a se stessi e all’altro il male commesso e cercando di riparlo si può innescare un percorso di purificazione e di liberazione. Umanamente noi siamo indotti a giustificare tutto quello che facciamo e a nascondere i nostri errori e certe nostre cattiverie sotto il tappeto. Non vogliamo entrare in noi stessi, nell’illusoria convinzione che il nostro vissuto possa mai essere turbato dai nostri comportamenti. Preferiamo, anzi, pensare ad altro e vivere come in trasferta. Pensiamo a quanto, a volte, succede tra familiari o i vicini di casa per motivi di soldi, di eredità, di confini. Quante volte siamo causa di male per qualche persona e non accettiamo di riconoscere il nostro errore, rimanendo così vittime e schiavi dell’orgoglio e dei risentimenti.

Perdonare e perdonarsi è la via obbligata per la riconciliazione, senza la quale non è possibile la libertà e la nostra umanizzazione. Ma il cammino di riconciliazione richiede anche il fare penitenza e sacrifici: la riconciliazione è un dono di Dio, ma la libertà e la pace del cuore che ne conseguono, richiedono anche un serio e coerente impegno personale. A niente serve cospargerci il capo di cenere, se poi rimaniamo quelli di prima, continuando lo stile e la vita di sempre.

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