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Una scuola rivolta al passato?

Gilda Zazzara, docente di Storia contemporanea a Venezia, commenta le proposte del ministro Giuseppe Valditara: “Quando sento parlare di centralità dell’Occidente, mi pervade una certa inquietudine. Le identità sono più complesse della sola identità nazionale”
14/02/2025

Dalla sua nomina a ministro dell’istruzione e del merito, il ministro Giuseppe Valditara si è lasciato andare a dichiarazioni che hanno suscitato dibattiti e accese polemiche. Abbiamo provato a parlarne con Gilda Zazzara, docente di Storia contemporanea all’università Ca’ Foscari di Venezia.

Dai vari interventi fatti dal ministro Valditara ci si pone una domanda: quanto è ancora saldo in Italia il pensiero di Gentile?

L’eredità di Giovanni Gentile nella scuola italiana oggi è difficilmente rilevabile: da allora la scuola è cambiata moltissimo, ad esempio con la nascita della scuola media nel 1962. La riforma Gentile sta nella storia e non nella quotidianità della scuola italiana.

Il ministro Valditara, che vuole presentarsi come riformatore, ha preso le distanze da qualunque possibile ritorno a una vocazione elitaria della scuola e respinge l’idea di un’ispirazione gentiliana.

Vedo, tuttavia, una continuità con Gentile nei modi: Valditara è esponente politico di un liberalismo tendente al conservatore con venature autoritarie: persegue una forte centralizzazione, soprattutto con alcune misure, come il voto in condotta, le punizioni e un atteggiamento di stretto controllo della libertà d’opinione degli insegnanti.

Valditara intende porre maggiore attenzione alla storia, specialmente quella antica. Un’occasione persa per affrontare aspetti della storia italiana del 900, come il colonialismo, gli anni di piombo, il compromesso storico?

Il ministero quest’estate ha fatto una riforma, passata in sordina, tesa a riorganizzare gli istituti tecnici che meriterebbe di essere discussa. Docente di Diritto romano, il ministro ha fatto riferimento, tra latino alle medie, cultura classica, mito, epica e fiaba, a un corpus di una prospettiva più umanistica che scientifica. Ciò che mi preoccupa di più in queste dichiarazioni, è una prospettiva di ritorno alla storia d’Italia e dell’Occidente rispetto a sperimentazioni troppo “globaliste”. Proprio adesso, quando si affermano sul mondo continenti che si sono liberati dal dominio occidentale. Quanto alla storia contemporanea, si pensa che più la storia è vicina, più siamo incapaci di contenere le nostre passioni: parlare del contemporaneo a scuola, secondo taluni, rischia di indottrinare gli studenti, ma anche la storia antica si può prestare a strumentalizzazioni politiche. Ritengo sia fondamentale che nelle scuole si parli dell’epoca più contemporanea e che la qualità e la libertà di questo insegnamento dipendano dal valore degli insegnanti e non da una supposta e impossibile oggettività. Di fronte alle rilevanze storiche, siamo sempre tutti condizionati dai nostri valori, che però possono essere gestiti in modo critico. Gli insegnanti si trovano a gestire delle indicazioni nazionali molto dense, ma, in qualche modo, alla caduta del muro ci dobbiamo arrivare per poter leggere dei processi che sono qui e ora.

Le proposte del ministro rispondono alle esigenze di una scuola sempre più multiculturale?

Come ha scritto lo storico Dipesh Chakrabarty, bisogna “Provincializzare l’Europa” e metterci in relazione diversa con le altre culture del mondo. Quando sento parlare di centralità dell’Occidente, mi pervade una certa inquietudine: il passo verso l’idea di una superiorità e supremazia della civiltà e valori occidentali sul resto del mondo è breve. Va bene ricordare quali avanzamenti per la libertà e la dignità degli esseri umani ha prodotto la civiltà occidentale, ma non si può dimenticare la pagina gigantesca del dominio coloniale e imperialista. Oggi ci sono insegnanti che vogliono riconoscere le appartenenze plurali dei ragazzi e provano in tutti i modi a costruire spazi di rispetto reciproco. Le identità sono più complesse della sola identità nazionale, ciascuno di noi ne è attraversato da molteplici, come quelle di genere o religiose. Questa questione è l’elefante nella stanza, ma non mi sembra ci siano riferimenti a come la sua proposta incontri le esigenze di inclusione e riconoscimento. Mi pare, invece, che il ministero abbia adombrato la soluzione delle classi di transizione con cui si copre la tentazione di tornare alle classi differenziate, che non ostacolino l’esplosione dei talenti degli altri alunni. Quest’enfasi che il ministro pone sui talenti e sul merito si ritrova in Gentile ed è in linea con il pensiero neoliberale degli ultimi 20 o 30 anni, rispetto a pedagogie progressiste che proponevano di non lasciare indietro nessuno.

Collegandosi a un convegno della fondazione Cecchettin, il ministro ha dichiarato che il problema della violenza sulle donne fosse in larga parte dovuto all’immigrazione irregolare...

Definire infelice quell’uscita è eufemistico. Commento doppiamente grave proprio per aver collegato la violenza sulle donne con la criminalità straniera, quando i dati ci dicono altro: una classe dirigente non dovrebbe alimentare paure e costruire la sensazione di nemici interni, tanto più rispetto a una piaga che è uscita dall’ombra solo di recente. Nel tentativo di bloccare dall’alto l’affermazione di nuovi problemi e nuove parole per dirli, riemerge l’idea di un ministero molto centralizzato che pensa di dare agli insegnanti la cassetta delle parole che si possono usare. La scuola, per fortuna ,sta dentro alla società e dal basso si chiede di discutere di certi problemi. Ciò si scontra con delle giovani generazioni e con gli insegnanti che vogliono parlare di quel tema. Bisogna parlarne con una certa radicalità per riuscire davvero a salvare vite.

Dopo la sanità, anche l’istruzione pubblica è sotto attacco?

Ormai da 40 anni è in atto una tendenza alla svalorizzazione dell’intervento pubblico. La scuola e l’università pubblica sono sotto attacco a causa del sottofinanziamento, del degrado, materiale e immateriale, del patrimonio edilizio, della svalorizzazione dei docenti, degli stipendi inadeguati.

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