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Intervista alla soprano trevigiana Francesca Dotto: Cantare da sempre è il mio mezzo per esprimermi

Dal coro della chiesa dei Carmelitani Scalzi, allo studio all’istituto musicale Manzato, al diploma al conservatorio Steffani di Castelfranco Veneto fino alla apprezzata carriera di soprano nei teatri d’Italia e d’Europa. Ora, per lei, un periodo di pausa per godersi la recente maternità

L’ultimo spettacolo, prima di fermarsi per un po’, è stato all’inaugurazione in pompa magna per la stagione lirica del Teatro comunale “Mario del Monaco” di Treviso lo scorso fine ottobre: tappeto rosso, due carabinieri in alta uniforme a scortare l’ingresso del teatro, e un pubblico particolarmente elegante alla prima di Madama Butterfly. Stella della serata, il soprano trevigiano Francesca Dotto, che ha offerto per l’occasione una prova di grande maturità interpretativa. La sua Butterfly, marcatamente lirica, prima ancora che sulla potenza vocale si è distinta per lo scavo psicologico e la capacità di rendere la complessità del personaggio, specialmente la sua intima fragilità, che si è colta nel quasi disperato “Un bel dì vedremo”, con un gesto scenico austero e sempre incisivo. Originaria di Treviso, diplomata al conservatorio Steffani, una carriera da soprano in giro per l’Italia e l’estero, Francesca Dotto da poche settimane è diventata mamma del suo primo figlio.

Trevigiana doc: quali luoghi e quali esperienze della sua infanzia le sono rimaste nel cuore?

Sono nata e vivo in questa bellissima città, dove ho la possibilità di “staccare la spina” quando non lavoro. I miei ricordi più belli da bambina e adolescente sono sicuramente legati all’istituto musicale Manzato in piazza San Francesco, dove trascorrevo quasi tutti i pomeriggi frequentando le lezioni di musica. Una scuola che per me non era solo luogo di studio, di esercizio e di apprendimento ma anche di aggregazione e di crescita perchè mi offriva l’opportunità di mettermi in relazione con bambini e ragazzi con i miei stessi interessi.

Come ha maturato la scelta di diventare soprano?

Ho sempre amato cantare, fin da bambina lo facevo insieme ai parenti, ai miei cugini, ai miei genitori; era il nostro modo di stare insieme e divertirci e per me uno mezzo per esprimermi. Partecipavo al coro della chiesa dei Carmelitani Scalzi. In seguito frequentando il Manzato, mi sono fermata spesso ad ascoltare i cantanti della classe di canto e ho fatto parte del coro delle voci bianche. Così mi sono appassionata alla lirica e il passaggio è stato “naturale”.

Come intraprende una carriera “inusuale” fino a farne la sua professione?

Fin dall’inizio mi sono dedicata con tutta me stessa per il raggiungimento di questo obiettivo: diventare una artista nella lirica. E così è stato. Anche se sono abbastanza sicura di una cosa: non sono io che ho scelto questa passione, è stata la passione per l’opera e il teatro a guidarmi.

Cosa le piace, la affascina, della musica lirica?

Si tratta sempre di un’opera d’arte completa in cui musica e recitazione si fondono. Mi piace che i sentimenti siano amplificati grazie alla musica potente che arriva dall’orchestra.

E in cosa invece fa fatica?

Sicuramente è un lavoro che richiede grandi sacrifici e che costringe a lunghi periodi lontano da casa e dagli affetti. Inoltre serve molta disciplina e rigore nello studio oltre che stabilità e salute, fisica ed emotiva.

In base a cosa sceglie le proposte che le arrivano?

Accetto sempre seguendo la mia voce, quindi se sento che un ruolo è per il mio strumento lo interpreto, altrimenti evito. Ci sono state diverse volte in cui ho rifiutato delle proposte perché non era il momento giusto per cantare una determinata cosa. L’importante è essere gentile e rispettosa con della mia voce che fa parte di me, è una ed è importante preservarla.

“Aver cantato per tanti anni Violetta in «la Traviata», mi ha fatto instaurare un legame particolare con lei che occupa un posto speciale
nel mio cuore”

Qual è il ruolo a cui è più affezionata?

Ogni incarico che affronto diventa in quel momento speciale per me, perchè divento tutt’uno col personaggio che cerco di rendere vivo e vero. Sicuramente, aver cantato per tanti anni Violetta de “La Traviata” mi ha fatto instaurare un legame particolare con lei che occupa un posto speciale nel mio cuore: con il passare degli anni, l’esperienza e una consapevolezza sempre maggiore mi hanno fatto comprendere che è uno dei ruoli più difficili che ho rappresentato. Per certi versi con sentimenti contrastanti. E per questo ci sono legata.

Il più difficile, per lei?

Ce ne sono stati molti di impegnativi in questi anni: Anna Bolena, Norma, Madama Butterfly e Elena del Marino Faliero di Donizetti o Alzira. Ma quello forse più complesso, in cui a ogni entrata devi sfoderare il meglio in termini tecnici, è Leonora de Il Trovatore di Verdi. Dal punto di vista interpretativo è inserito in precisi stilemi classici, a volte un po’ difficili da attualizzare, mentre vocalmente richiede una grande padronanza tecnica e tenuta vocale.

Quale mondo ha trovato “abitando la lirica”?

C’è il mondo della musica e del lavoro, delle emozioni e del sentire, dell’ interpretare e del donarsi, che è il mio mondo, quello che ho scelto perché mi ci ritrovo. Poi, c’è sicuramente tutto il contorno fatto di aspetti che appartengono allo spettacolo; alcuni sono molto belli, come conoscere tante persone, viaggiare, arricchirsi grazie ai colleghi o agli incontri con altre culture, al rapporto sano con il pubblico che ci stimola e aiuta a dare sempre il massimo, e altre un po’ meno belle ma che fanno parte del gioco.

La lirica resta “di nicchia”, non riesce ad affascinare e parlare ai giovani...

Trovo che già il luogo “teatro” porti con sé un alone di mistero, il fatto che ci sia un sipario oltre il quale si può vedere solo in determinati momenti, i palchetti, i decori. Ha molto fascino. L’essere “di nicchia” è un concetto tutto italiano. Forse perché non si cresce andando a teatro e quindi lo si percepisce come distante. All’estero i teatri sono frequentati dai giovani anche infrasettimanalmente, tanto quanto si può andare al cinema o in un museo. Voglio dire, dipende da come si vive il teatro fin da piccoli. Per fortuna anche qui da noi in tante città ci sono proposte per i giovani, perché familiarizzino con questo linguaggio. Porteranno i loro frutti, nella misura in cui se ne comprenderà il linguaggio.

Quale è lo “stato di salute” della lirica oggi?
Ci vedo un’enorme potenziale, una forza importante. In un mondo veloce come quello odierno, dedicarsi all’arte, anche in qualità di fruitore, necessita di uno sforzo iniziale, dunque non è scontato, perché significa voler entrare in dinamiche espressive nuove. Posso assicurare però che una volta compiuto il primo passo, il mondo che si apre ripaga e arricchisce più di qualsiasi altra cosa. La vera sfida è quindi trovare, anche da parte delle istituzioni, persone che credono davvero che l’arte sia indispensabile per l’uomo e che quindi trasmettano questo pensiero alla comunità. L’arte da sempre ha il compito di mostrare il bello e il brutto, di mettere a nudo le nostre debolezze, di esaltare i pregi e di sublimare anche le azioni più misere. Credo che senza questo sguardo verso l’alto l’uomo da solo non vada lontano. Per questo motivo abbiamo bisogno dell’arte.

E’ appena diventata mamma. Si ferma per un po’: è difficile?
Ho dovuto cancellare l’inaugurazione della stagione di teatro la Fenice di Venezia con Otello, cosa che sicuramente mi è dispiaciuta. Se però metto a confronto gli avvenimenti e li guardo sul lungo raggio non c’è evento che possa competere con questo accadimento unico e speciale. E devo dire che un figlio, già da quando cresce nel grembo materno, dona risorse che fino a quel momento non si sapeva di avere. Questo nuovo arrivo è una forza maggiore e, anche se a livello organizzativo è un pochino più delicato da gestire, soprattutto nei primi tempi, vedo che le cose accadono e la vita continua. Perciò prendo quello che succede con gioia e passione. Non temo per la mia carriera, non penso che un figlio ne rappresenti un ostacolo. Anzi, a chi era preoccupato e non capiva come potessi cantare gli spettacoli di Madama Butterfly la cui ultima replica è andata in scena che ero entrata ormai nel nono mese, ho riposto, come faccio sempre, cantando con gioia. Non intendo dire che sia stata una passeggiata ma sicuramente ho avuto una forza fuori dal comune che mi ha aiutata. E sono quasi pronta a ripartire di nuovo.

E allora, quali sono alcune sue caratteristiche di cui va fiera?

Credo nella mia forza di volontà che mi ha sempre sostenuta e aiutata anche nei momenti più difficili e nella mia costanza nello studio che mi dà la serenità necessaria per affrontare il palco e questo lavoro. Altra cosa a cui tengo è riuscire a separare la vita privata e lavoro. Custodisco ciò che appartiene al mio privato, alla famiglia e agli affetti. Mi sembra così di proteggere quello che ho di più prezioso. Il mio sogno è quello di riuscire sempre a coltivare il mio lavoro, che amo profondamente e mi dá enorme soddisfazione, facendomi sentire realizzata e gratificata, coniugando una dimensione intima e familiare e riuscendo a ritagliarmi il giusto tempo da dedicare alla famiglia.

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