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Festival biblico: valorizzare l'energia al femminile che produce vita

Lucilla Giagnoni e il suo spettacolo: il "Magnificat". In scena sabato 19 giugno alle ore 20.30 al teatro Eden di Treviso

“Un canto di lode alla vita e a un femminile che si risveglia”: così l’artista Lucilla Giagnoni presenta il suo spettacolo “Magnificat”, l’opera che porterà in scena sabato 19 giugno al teatro Eden di Treviso. 

Dopo il monologo sull’enciclica “Pacem in terris” portato alla Settimana sociale del 2018, ecco il ritorno a Treviso con un lavoro scritto tre anni fa ma che ha elementi di attualità straordinari, anticipatori di quanto abbiamo vissuto con la pandemia. D’altronde, si sa che gli artisti hanno delle antenne speciali.

Uno spettacolo in sintonia con il tema del festival biblico, “Magnificat”, sottolinea l’artista. “Perché parla di sorellanza – spiega -. La fratellanza, al maschile, l’abbiamo raccontata tanto, la sorellanza, invece, troppo poco, ed è questo che ci manca: valorizzare l’energia del femminile che produce la vita, che è generativa. E non è solo delle donne questa energia”. Non una narrazione in “contrapposizione”, però, perché Giagnoni parla di complementarietà delle due modalità espressive nel mondo, tanto che al maschile qualche anno fa ha dedicato “Furiosa mente”. Il maschile, per l’artista, è “la potenza, la possibilità di intervenire per cambiare le cose, anche di combattere, che non significa fare la guerra, ma battere insieme, per trasformare la realtà”. Il femminile, invece, è la forza di connessione, “mette in relazione, unisce gli opposti e armonizza i contrari. E’, ancora, la capacità di avere cura gli uni degli altri. E non c’è nulla di più naturale: pensiamo che anche le cellule del nostro corpo lavorano per connessione. La vita stessa – sottolinea - si trasmette per interconnessioni e non con la logica darwiniana dello scontro che ha dominato negli ultimi due secoli, supportata dallo sviluppo della scienza e della tecnica con cui abbiamo operato sulla natura: un agire maschile consolidato dalle società patriarcali. Non era così però in origine. Il femminile è stato fatto addormentare”. Ecco uscire potente dal monologo la grande questione del rapporto dell’uomo con la natura, dello sfruttamento delle risorse, della distruzione dell’habitat di tante specie animali e vegetali. 

“Magnificat” è l’indagine di una donna che vive il suo tempo e si fa domande su questo tempo, attraverso il gioco (in scena c’è l’immagine di un grande gioco dell’oca) e la fiaba, che sono gli strumenti attraverso i quali il femminile educa alla vita. “Le principesse devono svegliarsi, perché il mondo sarà bellissimo - spiega - quando il principe saprà sognare lo stesso sogno della principessa, senza farsi strada nel bosco con la spada, ma trovando la via giusta per arrivare a lei, in armonia con la natura e con i ritmi della vita”.

Lo spettacolo è anche un bellissimo omaggio al canto di lode e gratitudine a Dio pronunciato da Maria in visita a Elisabetta, “un passaggio di sapienza da donna a donna, un canto che rimette al centro i valori che abbiamo messo in fondo alla scala per troppo tempo, a cominciare all’umiltà e dalla cura. L’humilitas di cui parla Maria viene da humus, terra, è la relazione armonica che ci lega alla natura”. Una parola che è l’incipit del canto di Maria (“L'anima mia magnifica il Signore/ (…) perché ha guardato l'umiltà/ della sua serva”), pervade le ultime parole del Cantico delle creature di San Francesco (“Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate”), e le prime della preghiera che Dante fa pronunciare a san Bernardo, nel XXXIII canto del Paradiso (“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura”). 

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