Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Francesco: i dieci anni di papato raccontati dallo storico Impagliazzo
Un excursus storico, e insieme una profonda e appassionata lettura pastorale e sapienziale dei dieci anni di papato di Francesco: è ciò che ha offerto giovedì 18 aprile il prof. Marco Impagliazzo, docente ordinario di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, dove insegna anche Storia della pace, e presidente della Comunità di Sant’Egidio. Il prof. Impagliazzo ha proposto ai sacerdoti diocesani riuniti per il loro aggiornamento teologico - pastorale, una riflessione dal titolo “Dieci anni di papa Francesco: la gioia del Vangelo per la Chiesa e per il mondo”.
Ricordando il momento storico difficile, per la situazione internazionale e per l’Italia, e il momento particolare di crisi della Chiesa cattolica, nel quale c’è stata l’elezione di Bergoglio, il 13 marzo 2013, Impagliazzo ha parlato di “ingrigimento del cattolicesimo”, che non si vedeva solo dal “colore dei capelli di molti fedeli nelle chiese italiane, ma da una caduta di capacità attrattiva e di simpatia”, accompagnata a una “senilità dello spirito”. Insomma, era diffusa la convinzione di un “declino inevitabile della Chiesa cattolica”, frutto anche della modernità.
La sorprendente rinuncia di Benedetto XVI “è sembrata, attraverso una scelta personale, la somatizzazione della crisi della Chiesa, fatta da un papa colto, onesto e umile”. E ugualmente sorprendente è stata l’elezione di Bergoglio: il primo papa non europeo da secoli, primo papa latinoamericano. E poi la scelta del nome, Francesco, e quella richiesta di benedizione al popolo il giorno della sua elezione. “E’ scattata immediatamente una simpatia tra il nuovo papa e il popolo - ha sottolineato Impagliazzo -. Papa Francesco, fin dall’inizio, ha mostrato di essere un uomo coinvolto nel pathos di Dio, capace di vivere la simpatia per le donne e gli uomini, una chiara dimensione del vivere la Chiesa, radicata soprattutto nel Vaticano II. Papa Francesco, che non cita continuamente il Concilio, rappresenta certamente quello spirito del Concilio, quella simpatia immensa di cui parlava Paolo VI”. Insomma, con papa Francesco “si è cominciato a guardare il futuro della Chiesa con più speranza e il mondo con minor pessimismo”.
Si tratta di un sentire, di modelli, di pastorale, di atteggiamento umano, che la Chiesa può recepire o meno. C’è un orientamento che il Papa traccia e comunica. Si pensi alla tematica della cultura dell’incontro e della vicinanza, “che si fa apertura e attenzione all’altro e ha un suo risvolto anche nell’incontro con le altre Chiese cristiane e, ancora più in là, con le religioni non cristiane”. Ripercorrendo, nella sua analisi, le scelte e i documenti del magistero di Francesco (a cominciare da “Evangelii gaudium”), il professore ha sottolineato come il Papa abbia ridato “centralità al Vangelo, piuttosto che alle strutture, all’etica, alle istituzioni. Questo ha avuto una grande capacità attrattiva”, causandogli, d’altro canto, delle resistenze, specie in Italia e all’interno del mondo ecclesiastico e vaticano. “Si è già vista l’impossibilità di alcuni settori curiali di inglobare l’azione del Papa nei propri schemi. Ma le resistenze non vengono solo da questo. Sono anche le resistenze del “figlio maggiore”. Francesco chiede al clero di cambiare, di uscire per strada, di essere amico dei poveri. E’ critico verso taluni atteggiamenti di chiusura e autoreferenzialità dei religiosi e delle religiose”.
L’intervento ha molto sottolineato anche il tema della globalizzazione finanziaria, che condiziona gli Stati e impoverisce molti, e quello della globalizzazione culturale (che appiattisce le identità), oggetto del pensiero e di alcuni interventi di Francesco, accusato, per questo, di populismo latino-americano.
Per quanto riguarda le riforme della Chiesa, apparentemente lontane da venire, il Papa sostiene di non volere farle in fretta, ma di aver messo in movimento un processo di riflessione con la commissione cardinalizia e con il sinodo dei Vescovi.
Citando i documenti di Francesco, ma anche Ungaretti e Manzoni, Impagliazzo ha parlato di una “primavera” della Chiesa, che “non vuol dire soluzione di tutti i problemi, ma riconoscimento che nella vita cristiana ed ecclesiale ci sono le risorse spirituali e umane per vivere una nuova stagione di esistenza cristiana. La vita della Chiesa può diventare attrattiva per tanti. Un cristianesimo vivo, che va al di là di muri protettivi, parlando al cuore, suscita la nostalgia di Dio. Risveglia le domande dei credenti, dei credenti a modo loro, dei non credenti: mentre comunica la fede, diventa una testimonianza di umanità che interpella. Francesco vuole guidare la Chiesa alla conversione pastorale: l’unità si trova nella missione, nell’uscire, nell’impegnarsi, perché noi siamo uniti nell’eucaristia. Ma siamo uniti quando compiamo l’opera di Dio, che è comunicare il Vangelo; se c’è un’opera comune, siamo uniti perché scopriamo che abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché camminiamo nello stesso senso”.
“Il sogno di Francesco è una Chiesa senza confini, l’Evangelii gaudium è il suo manifesto, nel quale ritorna lo spirito del Concilio. Troppo ci siamo nascosti dietro le mura dei nostri recinti («gli altri sono così e niente li cambia, questi sono i nostri principi, le nostre strutture non ce la fanno, i preti sono pochi...»). La missione ha bisogno di un atteggiamento di amicizia verso gli altri. Una vita estroversa, donata, amica, capace di simpatia. Non si tratta di conquistare gli altri, ma di costruire uno spazio di amicizia in cui il Vangelo divenga attrattivo. Uscire in missione, costruire una rete di simpatia, riempie il mondo di energie di amore. Vivere per gli altri è già un argine alla ferocia. La mobilitazione delle nostre risorse profonde - la conclusione di Impagliazzo - migliora l’ecologia spirituale del mondo intero. Chi cambia un uomo, un quartiere, chi rende felice un anziano e un povero, salva il mondo”.