Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Liberati per la libertà: il giubileo di Comunione e Liberazione a Treviso
Comunione e Liberazione ha celebrato i 50 anni di presenza a Treviso con un incontro il 12 dicembre presso l’Auditorium di Santa Caterina dal titolo Liberati per la libertà: dialogo sulla fede cristiana vissuta nel nostro tempo tra il vescovo Michele Tomasi e Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. L’incontro è stato moderato da Samuele Busetto, responsabile diocesano della fraternità di CL.
Dopo i saluti del consigliere Visentin a nome del Comune di Treviso e dell’arcivescovo emerito di Udine, mons. Mazzocato, un breve collegamento con mons. Pezzi, arcivescovo cattolico di Mosca, legato alla storia della comunità di Treviso per averci passato un anno da militare nel 1981.
È stata una serata molto intensa, con la sala gremita e gente in piedi. Un mare di gratitudine che ha coinvolto i vecchi del Movimento e le giovani generazioni, non in un nostalgico ricordo degli inizi, ma nell’avvenimento di rivivere l’origine. Oggi. E nel vedere volti di amici antichi, anche di chi nel tempo non ha continuato la frequentazione, vengono in mente le parole di Paolo ai cristiani di Roma: “I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”.
Introducendo Samuele ha detto: «Nel pensare ad un evento che ci aiutasse a vivere il 50° e che si offrisse anche come contributo pubblico, ci siamo detti di non guardare solo alla nostra storia passata, ma offrire un contributo per guardare al tempo presente, perché è la pertinenza della fede ora che ci interessa, poter essere generati, rivivere la stessa esperienza dell’inizio, ora. Ecco, quindi, la proposta di un dialogo tra chi oggi guida la chiesa che è in Treviso, il vescovo Michele e chi guida il Movimento Davide Prosperi. Un dialogo sulla comunione e la liberazione generate dalla fede».
Ha esordito Prosperi: «Il problema è il concetto di libertà oggi: una libertà intesa come autonomia totale, come pretesa che io basto a me stesso, per cui l’unico orizzonte di compimento ammissibile è la realizzazione dei miei progetti, spesso derivati da aspettative imposte dalla società. La libertà come assenza di legami, che ci troviamo addosso tutti, un guardare a se stessi in funzione di un concetto di io come autonomo, indipendente, ultimamente legato all’immagine di sé, che il potere (direbbe don Giussani) ci impone nel seguire le cose. Questa libertà come assenza di legami diventa schiavitù. La cifra del nostro tempo è il narcisismo che ci rende schiavi di noi stessi, e l’altro tende a diventare un nemico. Mentre abbiamo bisogno che un Altro compia la nostra felicità. Noi siamo fatti da un Altro. Cristo ci perdona. Solo un amore così è capace di risollevarci in ogni istante. Solo questa dipendenza da Dio ci libera. L’amore di Cristo rigenera il mio presente».
Ha quindi preso la parola il vescovo Michele: «Buon giubileo, forse questa è l’occasione anche per il Movimento di entrare in questa logica, come il titolo del libro che è molto bello: Cinquant’anni di gratitudine che sono molto più lunghi di cent’anni di solitudine. La libertà è il grande rischio che Dio si prende. Perché amore sia amore non può avere alcuna costrizione. Non ci può essere amore con la pistola puntata alla tempia, che è una delle grandi aberrazioni del nostro tempo. Perché amore sia amore, perché Dio possa essere riconosciuto da quella creatura che ha posto per amore, ci deve essere la radicale possibilità del no, che fonda la verità del sì: io voglio essere amato gratuitamente da chi mi ama. La grande limitazione che Dio fa alla Sua potenza è quello di rimanere disarmato di fronte a questa creatura a Sua immagine e somiglianza, alla quale chiede di essere amato. Tutto ciò che non ha le dimensioni di Dio e chiede a qualcos’altro di essere l’Assoluto è una schiavitù, perché si chiede qualche cosa a chi non ce lo può dare. Il desiderio di amore è infinito e solo Dio è l’interlocuzione che ha questa caratteristica. La schiavitù è cercare di voler raggiungere qualcosa che abbiamo già, ma ce lo abbiamo nella cifra del dono. Liberati nella libertà. State liberi! E noi subito leggiamo nella libertà l’arbitrio. E il rischio di Dio è che il sì deve avere la possibilità del no. La prima liberazione è da una pretesa troppo grande che abbiamo verso noi stessi: ci stiamo chiedendo troppo, ci stiamo chiedendo di salvarci, di darci la vita, la pienezza di esistenza. Sbagliamo mira: perché ci è stata donata, e se non la accogliamo non la possiamo sviluppare nella sua pienezza».
«Prendiamoci cura delle parole che usiamo – ha invitato il vescovo –, parole che vibrino del riverbero del vero, del reale. La realtà in cui vive il Risorto. Se lo riconosco mi si aprono gli occhi. Come dice Rebora parlando della sua conversione: “E parola zittì chiacchiere mie”.
Il dialogo è proseguito con alcune domande rivolte al vescovo e a Prosperi. In risposta mons. Tomasi ha detto: «Noi sappiamo che Dio ci ama, che il Crocifisso è risorto, che Cristo ha vinto la morte. La grande nemica non ha l’ultima parola perché l’Amore è la sostanza di tutte le cose. Quando lo riconosco non è un pensiero, ma il tratto più profondo del reale. Riconosco la realtà. Abbiamo ricevuto un dono e questo dono si trasforma in una responsabilità. Allora o Gesù è tutto o è niente. Ed io provo ad arrendermi. E non sono solo a fare questo perché siamo nella Chiesa e siamo insieme: questo corpo di Cristo che è tutto. E c’è quella gigantesca realtà del perdono che è la caratteristica del cristiano e del cristianesimo come fatto storico. Io sono costituito da un gratuito amore per me, infinito, illimitato, per me e per tutti. E in questo ci facciamo aiutare da Dio e dalla donna del sì, da Maria che ci sta accanto ed il suo aiuto è indispensabile nell’accettazione di un amore che nulla ci ruba e tutto ci dona».
Nella risposta Prosperi ha detto: «Nel podcast E voi chi dite che io sia? che abbiamo pubblicato, don Giussani con quel suo stile distintivo di farci immedesimare nei fatti del Vangelo cogliamo qual è la pretesa che Gesù esplicita nei tre anni di annuncio pubblico. Già nel primo miracolo che mi ha sempre affascinato, qualcosa di poco rilevante, non la guarigione del cieco nato o resuscitare un morto, ma tramutare l’acqua in vino. È il ribaltamento del cristianesimo rispetto a tutte le altre religioni, di tutti i tentativi umani di immaginarsi o raggiungere Dio. Chi ha il potere di trasformare l’acqua in vino? Solo Dio. È come se Gesù dicesse: “Quello che voi cercate di ottenere è uno sforzo nobile, ma inutile con le vostre forze, sono venuto io a portarlo a voi. È la mia presenza”. Come nel mistero dell’Eucaristia.
La pretesa cristiana è questo ribaltamento: Dio stesso che ci raggiunge. Questa è anche la differenza specifica. Come dice Péguy “Dio si è scomodato per me, ecco il cristianesimo”.
E questa è la nostra comunione, dove è presente Cristo, perché abbiamo bisogno di una presenza fisica, carnale. Avviene oggi come avvenne duemila anni fa. Questa vita nuova che Cristo porta mostra anche un modo di vivere ed essere presenti nella realtà, secondo le dimensioni dell’espressività umana: cultura, carità e missione».
A una domanda sull’educazione, su cosa può smuovere i nostri ragazzi, Prosperi ha risposto: «Non c’è nulla che può smuovere i nostri ragazzi se non ha prima preso noi. Qual è il punto di attrattiva vera della nostra vita? Proporre qualcosa, sfidare la libertà per qualcosa che vale la pena di credere, che può realizzare una novità di vita. Don Giussani ha detto una volta: “Noi soffochiamo i giovani se pretendiamo da essi un entusiasmo per le cose limitate”. L’entusiasmo è per l’Infinito: introdurci nell’esperienza del rapporto con l’Infinito. Ai ragazzi occorre mostrare che ciò che a loro interessa ha a che fare con il Destino. Per fare questo occorre farne esperienza. Hanno bisogno che un adulto si metta con loro in questo cammino di verifica dell’Ideale dentro gli interessi della vita.
In conclusione il vescovo Tomasi ha dichiarato: «Comunione e Liberazione è una presenza importante per Treviso. Questo è un bel momento di comunità, di un gruppo di fedeli che hanno scoperto la bellezza dell’incontro con il Signore e lo testimoniano nella loro vita e lo fanno qui insieme a tanti amici e amiche». Ha aggiunto Prosperi: «Sono molto contento di essere qui, una ricorrenza molto importante: 50 anni vuol dire che è una storia che comincia ad essere una storia importante che coinvolge tante persone. Qui a Treviso ci sono più di 200 persone, ma il giro che segue questa esperienza è molto più largo. Siamo contenti di contribuire alla vita della Chiesa attraverso la nostra presenza».
L’incontro si è concluso con il video del Volantone di Natale e nella bellezza dell’antica chiesa di Santa Caterina sono risuonate le parole di don Giussani: «Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. È accaduto, questo! Vogliamo riprendere, scostando la nebbia dell’abitudine dal nostro occhio e dal nostro cuore, vogliamo riprendere la grande notizia, il grande annuncio, il grande fatto, il grande avvenimento. «Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno»: il Destino, il Destino nostro, si è reso Presenza. Ma Presenza come padre, madre, fratello, amico, come – mentre stavamo camminando – un compagno improvviso di cammino. Un compagno di cammino: Emmanuele, il Dio con noi! È accaduto questo!».