Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Notarstefano, Ac: Apriamoci alle questioni di oggi
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Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione cattolica, è stato a Treviso, per un’intera giornata, sabato 25 gennaio.
Nella mattinata ha incontrato i presidenti parrocchiali, nel pomeriggio ha parlato, sul fatto di essere testimoni di speranza, all’assemblea diocesana dell’associazione, all’auditorium San Pio X. Momenti caratterizzati, soprattutto, dal dibattito e dallo scambio di esperienze. Nell’occasione, lo abbiamo intervistato.
Quanto sono importanti, anche per la Presidenza nazionale, incontri come questo di Treviso?
Per me è molto importante, credo che lo sia anche per l’associazione: conversare, vivere anche un discernimento sulla stagione che stiamo vivendo non solo a livello associativo, ma anche a livello ecclesiale. L’Ac, infatti, è pienamente dentro il Cammino sinodale della Chiesa italiana, vive questo Giubileo come un’occasione di grazia, anche per una conversione personale, pastorale, strutturale. Quindi, per me diventa prezioso, come presidente, ascoltare la voce delle associazioni locali, ascoltare la voce dei soci, dei responsabili e, insieme a loro, fare un discernimento su come questi cambiamenti ci impegnano, come associazione, in uno stile che deve essere sempre più capace di accogliere le sfide che questo tempo ci dà. Un tempo complesso che dobbiamo sapere abitare, ma soprattutto dobbiamo saper vivere insieme, ecco riscoprendo, diciamo, la forza della dimensione associativa, la grande profezia per questo tempo.
Cosa è chiesto, in particolare, ai fedeli laici in questa stagione?
Sono forti la domanda, il desiderio, di una maggiore corresponsabilità, una corresponsabilità che diventa partecipazione alla vita della Chiesa, che diventa anche capacità delle nostre comunità di aprirsi sempre di più alle questioni della vita di oggi. Abbiamo bisogno di comunità che siano convesse, che si aprano alla vita, si lascino anche “travagliare” un po’, come ci dice il Concilio, dalle gioie, dalle speranze delle persone di oggi, e che diano forma anche a nuovi percorsi. Si tratta di risposte nuove, in termini formativi, ecclesiali associativi, ma anche di iniziative da costruire insieme agli altri. In quello spirito di fraternità a cui ci esorta papa Francesco.
Torna forte, in questo contesto, l’appello ai cattolici a essere impegnati nella società, nella politica, se ne sta parlando molto. Da dove ripartire?
Io credo che proprio la Settimana sociale di Trieste abbia avuto un grandissimo merito, quello di mettere l’accento sul tema della rigenerazione della vita democratica. Come ci diceva il presidente Mattarella, abbiamo bisogno di una democrazia ad alta intensità. Noi abbiamo un impegno come cattolici, quello di aiutare il Paese, le sue istituzioni, a guardare al grande tema della democrazia come strumento di partecipazione guardando soprattutto ai più deboli. Tutto questo non è scontato, ha bisogno di percorsi formativi. Aggiungo che, anche in questi anni, mentre si è parlato tanto di insignificanza, di afasia dei cattolici, tanti hanno lavorato dentro moltissimi percorsi ed esperienze, a livello sociale, a livello economico, cooperativo. E adesso, però, c’è un bisogno, quello di prendere maggiormente parola nello spazio pubblico. Credo davvero che la rete di Trieste si sia in qualche maniera attivata. Penso, ad esempio, alla rete di amministratori che si stanno incontrando a livello regionale che si ritroveranno a metà febbraio a Roma, per un grande incontro nazionale. Si tratta di uno dei frutti di questo percorso, ma ce ne potranno essere tanti altri. Si tratta, insomma, di prendersi cura della democrazia, che è di tutti, non tanto di rivendicare un proprio spazio. Dobbiamo contribuire, affinché lo spazio pubblico sia davvero a misura di tutti e quindi a partire dai più deboli, perché davvero la partecipazione di tutti sia il primo passo per la ricerca del bene comune.
Qualche idea concreta per procedere in questo senso, anche a livello locale?
Noi abbiamo voluto offrire un percorso che si chiama “Parole di giustizia e di speranza”. Sono degli strumenti, delle schede messe nelle mani delle nostre associazioni, perché io credo che la prima formazione politica sia una formazione alla cittadinanza attiva, e debba essere fatta in maniera ordinaria, nella vita quotidiana delle nostre associazioni. Forse, in questo tempo dobbiamo poter aggiungere anche qualcosa in più, collaborare affinché ci sia una rigenerazione di quei percorsi tradizionali, chiamiamoli laboratori di partecipazione, che non solo formano coloro che vogliono accostarsi alla vita politica, ma che costruiscono dei veri propri luoghi di incontro con chi è già dentro la vita politica. Innanzitutto per dire che la comunità cristiana stima questa vocazione alla politica e, poi, l’accompagna offrendo dei percorsi di discernimento.