Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Speciale 130°: quando "la vita del popolo divenne giornale": di Chiesa, di popolo, d'intervento
Significativo resta tuttora che il giornale sia nato nel 1892 quale organo del Comitato diocesano del Movimento cattolico (Opera dei Congressi) dove i laici nell’ambito ecclesiale operavano da protagonisti, impegnati sia nella formazione spirituale sia nel sostenere e promuovere le molteplici iniziative sociali, economiche, educative, che nascevano nelle parrocchie territoriali, dove preti e laici lavoravano insieme, finalizzate al riscatto delle classi subalterne, alla giustizia sociale e alla promozione umana. Dunque le tre componenti hanno formato il suo Dna dalla nascita.
Centotrent’anni di vita per un giornale è una veneranda età che costituisce per sé un evento, degno di memoria e insieme di riflessione sul presente, specialmente quando, è il caso di La Vita del popolo, nelle diverse stagioni della storia è rintracciabile una sua inalterata identità. Ricordo che quando nel 1982 furono celebrati i 90 anni del settimanale diocesano di Treviso, all’interno di un convegno nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), fu scelto il tema “Quando la vita del popolo divenne giornale”, perché parve che interpretasse l’identità viva anche in quella stagione che era di ripresa dopo i difficili anni settanta. Allora il giornale stava ristrutturandosi nella redazione e dotandosi di strumenti idonei, mentre la riflessione sul presente spingeva a cercare nelle radici motivi e coraggio capaci di rispondere al rinnovamento in atto, sia nella vita ecclesiale che in quella sociale e politica. Si stava preparando il Sinodo diocesano del dopo Concilio maturato dalla lunga stagione dei Convegni pastorali di Paderno, che erano stati straordinaria esperienza di partecipazione ecclesiale; anche la società civile era in fervore di ripresa economica e culturale (il “modello veneto” sembrava funzionare) favorita da una politica meno ingabbiata ideologicamente e più disponibile (anche costretta) al confronto e al dialogo democratico. Solo nella coscienza della propria reale identità si poteva vivere senza disagi il presente con voglia di costruire futuro.
Riflettendo sulle radici storiche
Quale identità? Giornale di chiesa, giornale di popolo, giornale d’intervento.
Significativo resta tuttora che il giornale sia nato nel 1892 quale organo del Comitato diocesano del Movimento cattolico (Opera dei Congressi) dove i laici nell’ambito ecclesiale operavano da protagonisti, impegnati sia nella formazione spirituale sia nel sostenere e promuovere le molteplici iniziative sociali, economiche, educative, che nascevano nelle parrocchie territoriali, dove preti e laici lavoravano insieme, finalizzate al riscatto delle classi subalterne, alla giustizia sociale e alla promozione umana. Dunque le tre componenti hanno formato il suo Dna dalla nascita.
Il Movimento cattolico era sostanzialmente spirituale; nelle opere sociali la fede doveva farsi testimonianza di carità a vantaggio delle classi subalterne anelanti al riscatto sociale, attuando i valori della mutualità, della solidarietà e della cooperazione, anche se impedita a incidere direttamente nell’azione politica.
La pubblicazione in edizione anastatica nel 1992, a cento anni dalla nascita, della prima annata di La Vita del popolo testimoniava che lungo un secolo il giornale aveva coltivato la sua identità: impegnato ad essere voce intraprendente delle popolazioni costituenti la chiesa diocesana, ancora di economia agricola e artigianale ma ormai ingranata nei processi dell’industrializzazione e del commercio; popolazioni radunate nelle comunità parrocchiali dove i laici coi loro preti potevano sperimentare la partecipazione attiva alla emancipazione sociale e al rinnovamento religioso misurandosi attivamente sulla realtà sociale ed ecclesiale in profondo cambiamento. Ad esempio il credito, che è fiducia, mantenendosi fedele al valore personale e famigliare, doveva difendere e promuovere la sua costitutiva dimensione sociale attraverso gli istituti solidaristici cresciuti nel tempo e maggiormente tentati dalle logiche del profitto. Il giornale è stato presenza attiva negli anni ’80 -’90 del XX secolo su processi innovativi, anche se alla fine risultarono perdenti; altrettanto nel campo della cooperazione economica, sociale e culturale. Non è stato a guardare dalla finestra istituzionale: era la vita del popolo “diventata giornale”; nell’azione non si è lasciato condizionare tanto da compromettere la propria identità.
Nei decenni tra i due secoli l’autoriscatto degli ultimi era stato un fenomeno fecondo per quanto laborioso e irto di ostacoli; il giornale raccontava, ma anche proponeva e sosteneva illuminando e senza tacere valutazioni critiche: errori e inadeguatezze erano dovute in gran parte all’inesperienza. Per questo stimolava la formazione spirituale, la coerenza morale e l’istruzione professionale. Quella stagione intraprendente doveva misurarsi con una politica nazionale anticattolica e con l’egoismo della borghesia proprietaria terriera e industriale in parte liberista e in parte conservatrice, ostile comunque. La dimensione popolare non fu abbandonata mai. I cattolici avevano scelto di farlo con intransigenza militante (poteva essere fatto diversamente) e il giornale trevigiano non si tirò indietro perché era stata scelta ecclesiale, ma non condivise le rigidità di altre testate diocesane.
La stagione dell’intraprendenza, comunque, s’infranse sulle scogliere della Prima guerra mondiale voluta dalle classi dominanti, e dovette trasformarsi in stagione resistente durante il ventennio fascista. Quanto cambiato risulta La Vita del popolo, privato del respiro sociale e culturale! Tuttavia contribuì a sostenere la chiesa diocesana nell’opera formativa spirituale del clero e del laicato, difendendo gli spazi irrinunciabili della vita di fede comunitaria; nel crogiuolo della dittatura fascista e del secondo conflitto mondiale che seguì, il giornale restò attivo nell’ambito dell’Azione cattolica, più volte censurato e violentato, nel preparare le nuove generazioni sia dei preti che dei laici. Poi la guerra civile che concluse tragicamente la seconda guerra mondiale, fu esperienza sanguinante di cattiverie e di ingiustizie, di divisioni anche nel mondo cattolico. Commuove ancora leggere nelle pagine del Settimanale il sostegno fedele e sincero all’opera eroica del vescovo Mantiero per la riconciliazione sociale, il quale chiedeva ai cattolici di operare uniti per testimoniare la carità evangelica che era fondamento anche dei valori che la nuova vita democratica stava faticosamente elaborando.
La vicenda non buona dei Comitati civici, poi il travaglio conciliare e la rivoluzione culturale, che lo accompagnò e lo seguì, hanno messo a dura prova il giornale proprio nella sua identità ecclesiale popolare e d’intervento. Ma ancora non la perse. Restò nella Chiesa e con la Chiesa che pativa la chiamata storica alla sua rigenerazione; seppe discernere i fermenti di rinnovamento che erano tanti, e diede voce che meritavano nel campo pastorale, sociale e culturale, mai cedendo alle tentazioni di rotture e di chiusure. Non fu mai voce del potere, né di quello politico (quanta resistenza alle invadenze della Dc!) né di quello economico, preferendo le fatiche gestionali, e nemmeno di quello ecclesiastico perché, senza misconoscere la dimensione istituzionale, credeva nella Chiesa comunione che vive delle relazioni in cui tutti possono esprimersi.
In questo la sua identità popolare lo ha aiutato, valorizzando anche le originalità territoriali che sono nella natura di una “chiesa locale” (di quella trevigiana in particolare storicamente policentrica). Non significa dire che il percorso del giornale sia stato sempre trasparente e lineare nella sua identità; se di questo si fosse principalmente preoccupato avrebbe rischiato l’astrattezza ideologica. Non lo era quello della Chiesa, meno ancora quello socio-politico. Non può esserlo il percorso della storia, se la consideriamo il cammino di un popolo che vive dentro spazi e tempi reali.
Oggi: la stessa identità?
Per scrivere con verità la storia di un giornale di Chiesa e valutarne l’azione presente occorre vederle dentro la storia della sua Chiesa, come quelle di un giornale di popolo dentro la vita della sua gente, che non è solo i suoi lettori. Se poniamo attenzione al percorso di La Vita del popolo in questo primo ventennio del nuovo millennio, in cui la dimensione mondiale (anche cosmica) imponendosi sta ridisegnando le relazioni tra i popoli e tra gli stati come tra le chiese e tra le religioni e costringe a mettere sul tavolo tutte le carte, politiche, economiche, culturali, religiose, crediamo - ma è un’opinione - che la sua identità resti viva, alimentata dalla linfa delle sue radici e dalla fedeltà storica, e gli consenta di stare nel presente senza disagi (non senza fatiche). Lo crediamo per due principali motivi. Non cessa di tessere relazioni: con le persone, con le comunità, associazioni e gruppi, con quanti nel quotidiano e in ogni luogo operano per costruire relazioni mettendoci fatica e fantasia, specialmente nella gratuità che è valore umano e cristiano: giornale di comunione non solo di collaborazione. L’altro è che sa rischiare senza presunzione nelle aperture, che lo fanno giornale critico e propositivo, insieme libero e responsabile. Nel poco di un giornale locale, non è poco!