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Pakistan: un Paese unito nella pluralità

L'impegno di Paul Bhatti e dell'associazione dedicata al fratello ucciso 11 anni fa. Della "Missione Shahbaz Bhatti" fanno parte anche la nostra diocesi e il patriarcato di Venezia. Tra gli obiettivi il dialogo tra le diverse religioni

Tra pochi giorni ricorre l’undicesimo anniversario della morte di Shahbaz Bhatti, l’ex ministro pakistano per le Minoranze religiose e l’Armonia nazionale, assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad, a 42 anni, da estremisti musulmani, del quale è in corso la causa di beatificazione.

Nel suo nome, in questi anni, sono stati messi in campo molti progetti a favore della popolazione del Pakistan. Iniziative di tipo sociale, sanitario ed educativo per gli abitanti di zone povere e rurali, per le donne, i bambini, oltre che di assistenza legale, in particolare per le persone appartenenti a minoranze religiose, sottoposte a pesanti discriminazioni e vessazioni. Famoso il caso della cristiana Asia Bibi, la giovane madre di famiglia falsamente accusata di blasfemia, che ha trascorso in carcere otto anni della sua vita, con una condanna a morte; la donna fu poi assolta e liberata nel 2018, e ora vive in Canada con la sua famiglia. Proprio alla sua vicenda Shahbaz Bhatti si era dedicato in modo competente e appassionato.

Periodicamente arrivano notizie di violenze e soprusi, di violazione dei diritti umani, ma è grande anche il lavoro di pacificazione e per la convivenza tra le diverse componenti etniche e religiose del Pakistan che molte figure, autorità e associazioni stanno portando avanti.
Tra questi il dottor Paul Bhatti, medico e fratello di Shahbaz, che, dopo l’assassinio, prese il posto del fratello, nel governo del presidente Asif Ali Zardari, ricoprendo l’incarico di ministro delle Minoranze e dell’Armonia fino al 2014 per poi tornare in Italia, a Badoere, dove vive e lavora come medico di famiglia. Il dott. Bhatti non ha certo abbandonato l’impegno per il Pakistan, anzi. Dall’Italia promuove e accompagna i numerosi progetti dell’associazione “Missione Shahbaz Bhatti onlus” intitolata al fratello, nata nel nostro Paese, e della quale sono socie anche le diocesi di Treviso e di Trento e il patriarcato di Venezia.

Il dott. Bhatti torna regolarmente in Pakistan per incontri importanti che favoriscono il dialogo, la via scelta e praticata da Shahbaz. Di particolare importanza è stata la Conferenza internazionale sull’armonia religiosa, dal titolo “Unity in Diversity”, che si è svolta il 3 dicembre scorso a Rawalpindi, una città nella provincia del Punjab. “Oltre 100 persone hanno partecipato alla conferenza, compresi i rappresentanti di consolati, ambasciate, Vescovi, avvocati e membri della società civile di tutto il Pakistan - racconta Paul Bhatti, che da qualche giorno è tornato nel Paese per le celebrazioni nell’anniversario del fratello -. Tra loro l’arcivescovo cattolico Joseph Arshad, pastore di Islamabad-Rawalpindi, e Maulana Tahir Ashraf, rappresentante speciale per l’armonia religiosa del primo ministro del Pakistan, Imran Khan. Tutti gli intervenuti sono stati testimoni di come sia possibile promuovere “unità nella diversità”. Lo scopo dell’incontro era favorire unità e armonia tra credenti di fedi diverse. Discriminazioni sociali, ingiustizie e violazioni della pace favoriscono comportamenti negativi e azioni di odio e pregiudizio gli uni verso gli altri”. Molti i temi toccati dai presenti, che hanno concordato sul fatto che l’istruzione è l’unica chiave per aprire le menti e i cuori, per camminare sulla strada giusta del rispetto di diritti e doveri di tutti, in questo Paese islamico al cui interno vivono numerose minoranze (cristiani - sia cattolici che protestanti e anglicani -, indù e sikh).

Parlando apertamente anche della legge anti-blasfemia, l’associazione di impegno politico e sociale delle minoranze, l’Apma (All Pakistan Minorities Alliance), organizzatrice dell’evento, ha sottolineato nel documento finale come il Pakistan sia “un Paese dove il forte incremento dei casi di blasfemia ha prodotto negli ultimi anni un aumento di atteggiamenti brutali, ma anche dove tutte le persone che condividono gli stessi ideali devono porsi su uno stesso piano di armonia, pace e giustizia. Devono accettare la verità e impegnarsi per essa con azioni chiare e sagge, senza distinguere tra maggioranza o minoranza, in un Paese dove tutti condividono la stessa cittadinanza pachistana”. Una realtà che la bandiera stessa del Pakistan riconosce: la parte verde, che rappresenta la maggioranza musulmana, convive e si completa con quella bianca, le minoranze. Per la formazione del Paese servono entrambe.

“Crediamo che i diritti di base debbano essere garantiti a tutti. Vogliamo un Paese in cui tutti vivano allo stesso modo con la libertà di usare i propri diritti sociali e di svolgere le proprie pratiche religiose” hanno dichiarato i leader presenti.

Ma perché questo avvenga realmente c’è bisogno di iniziative concrete che coinvolgano le voci più autorevoli dell’Islam. Ecco il senso di incontri come “Unity in Diversity”. “Il dialogo interreligioso non può essere solo una moda - dice Bhatti - stiamo coinvolgendo i musulmani che la pensano come noi. E deve essere la maggioranza del Pakistan a sostenerli, non tanto l’Occidente”. Paul Bhatti è convinto che la convivenza pacifica sia un obiettivo possibile, e sono gli stessi musulmani spesso a farsene carico e a favorirla, favoriti dalla conoscenza e dalla stima reciproca che nasce dall’incontro e dal dialogo. Tutti in Pakistan ricordano la folla oceanica al funerale di Shahbaz, con tantissimi musulmani presenti, a testimoniare gratitudine a una persona che si era battuta per i diritti e la dignità di tutti e per una convivenza pacifica nelle diversità. “Ma come noi, anche i musulmani faticano a contrastare l’estremismo e l’odio che derivano dalla strumentalizzazione politica, da parte di alcuni gruppi, delle grandi sacche di povertà e ignoranza ancora presenti, usando spesso l’arma della blasfemia”.

Essere consapevoli di questo può aiutare a far crescere una coscienza favorevole all’integrazione delle differenze e alla giustizia, ma anche a far crescere un Pakistan più forte e sviluppato. Non solo. Dopo il ritorno al potere dei talebani nel vicino Afghanistan, la convivenza e la pacificazione sociale del Pakistan possono essere la migliore “assicurazione” contro il rischio di infiltrazioni terroristiche capaci di destabilizzazioni pesanti, non solo in questo Paese, ma anche su scala globale. E di questa responsabilità i leader pakistani sembrano essere consapevoli.

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