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Donne e violenza: chiedete aiuto!

La violenza di genere è trasversale, ma si consuma sempre tra le mura di casa. Ecco i servizi che nel nostro territorio assistono le donne minacciate che hanno trovato la forza di chiedere aiuto.

La violenza di genere è un fenomeno che ancora oggi si configura come problema strutturale e culturale per la nostra società.

Sebbene l’omertà attorno a tali atti violenti nei confronti della donna sia stata scalfita e, come spiega la dottoressa Monica Inio, coordinatrice del Centro antiviolenza Telefono Rosa di Treviso onlus, l’emancipazione femminile dal punto di vista economico abbia favorito la sua indipendenza e, dunque, la capacità di prendere consapevolezza della propria situazione e di cercare aiuto, il problema rimane a tutt’oggi importante.

Sono molti i timori che possono bloccare una donna e non permetterle di cercare aiuto e di denunciare gli abusi. Tra questi, i sensi di colpa suscitati dall’idea di poter disgregare una famiglia, una bassa autostima causata dalla sudditanza psicologica nei confronti di un uomo, la paura di perdere i propri figli.

Sono tanti e diversi anche i tipi di violenza che si possono subire, dalla violenza fisica a quella psicologica, economica, sessuale o verbale fino ad arrivare allo stalking. Tutto ciò può sfociare nel femminicidio. Inoltre c’è un altro fenomeno gravissimo che non va trascurato, e cioè quello della violenza assistita, quella a cui sono costretti ad assistere i minori in famiglia.

103 donne uccise nel 2017. Gli omicidi di genere sono stati 103 nell’arco dello scorso anno. A fornire i dati la ricerca “Uomini che odiano le donne. Come l’agenzia di stampa Ansa rappresenta i casi di femmicidio secondo la nazionalità dei protagonisti”, condotta del gruppo Prosmedia (Gruppo di Analisi interculturale dei media del centro Studi interculturali dell’Università degli Studi di Verona) e curata della ricercatrice e media educator Cristina Martini.

“La maggior parte dei femmicidi – riporta la ricerca – sono stati al Nord (39), nel Centro (32), Sud (19) e Isole (13). Sono stati 11 i casi di femminicidio in Veneto: quattro a Venezia, tre a Vicenza, due a Padova, uno a Treviso, a Rovigo e Verona”.

Gli autori del reato, secondo i dati forniti dal Centro Antiviolenza di Treviso, sono per il 90% un coniuge, un ex coniuge o un convivente. La restante percentuale si attribuisce quasi totalmente ad altri familiari, configurando questo tipo di violenza come un atto domestico, che si svolge tra le mura di casa.

La violenza sulle donne è trasversale e va al di là del ceto sociale e della nazionalità. Non è un reato che si compie solo in situazioni di marginalità, ma anche all’interno di famiglie benestanti e con alto livello di istruzione. La maggior parte di chi cerca aiuto, come anche la maggioranza delle vittime di femminicidio (come si può vedere nel box a margine) è di nazionalità italiana, ma ciò trova la sua spiegazione, non in una differenza nei comportamenti maschili in base al Paese di provenienza, quanto in parte in una maggiore difficoltà delle donne di origine straniera ad attivare una rete di supporto e a raggiungere i Centri antiviolenza e in parte semplicemente dalla minore presenza in percentuale sul territorio rispetto alle donne italiane.

Centri Antiviolenza. Per arginare il fenomeno, proteggere le donne, aiutarle e sostenerle, su tutto il territorio nazionale lavorano i Centri Antiviolenza ed è attivo 24 ore su 24 il numero telefonico 1522, il numero nazionale antiviolenza e antistalking promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – dipartimento Pari opportunità. Attraverso questo servizio si può essere indirizzate al Centro più vicino o più adatto alle esigenze.

Telefono Rosa onlus. Nella città di Treviso opera Telefono Rosa onlus, che fornisce il servizio, garantendo la riservatezza delle vittime e in maniera del tutto gratuita da 29 anni. Il Centro ha seguito, nel 2017, 141 donne, tutti nuovi contatti, che per l’80% è di nazionalità italiana.

Organizza, inoltre, ogni quindici giorni dei gruppi di auto mutuo aiuto durante i quali le donne possono incontrarsi e sostenersi a vicenda.

Centro Nilde a Castelfranco. Dal 2015 la cooperativa Iside, in collaborazione con il Comune di Castelfranco Veneto, ha aperto il Centro Nilde che nel 2017 ha assistito 74 donne, 28 delle quali erano nuovi contatti. Oltre alle normali procedure di supporto a Castelfranco è stato avviato anche un corso di autodifesa. Anche qui, come ha spiegato la psicologa referente del centro antiviolenza della cooperativa Iside, Silvia Villa, la maggior parte delle donne è italiana. I contatti avvengono telefonicamente o su segnalazione delle forze dell’ordine e dei servizi sociali che lavorano in rete sul territorio.

Centro Antares di Montebelluna. La cooperativa “Una casa per l’uomo” gestisce invece il Centro Antares di Montebelluna che ha sportelli anche ad Asolo, Vedelago e Valdobbiadene. Dal 2015, quando è stato aperto, ha seguito 160 donne. “I contatti sono più numerosi delle persone che poi prendiamo in carico – racconta la coordinatrice del centro Laura Miotto –. Succede che alcune donne chiamino, fissino un appuntamento e poi non vengano, oppure che si venga raggiunti da terzi che chiedono informazioni al fine di accompagnare qualcuno. Il nostro servizio si rivolge solo alle donne che liberamente e volontariamente decidono di chiedere il nostro aiuto. Altrettanto libero è il percorso che abbiamo avviato per promuovere, attraverso colloqui individuali o gruppi di aiuto, il cambiamento maschile e sostenere gli uomini violenti nella modifica del loro comportamento”.

Tutti i centri operano attraverso un primo colloquio conoscitivo che serve a costruire il percorso individuale necessario a ciascuna donna per uscire dalla spirale delle violenze. Offrono supporto psicologico e legale.

Nel Montebellunese è inoltre attiva dal 2013 Casa Aurora, una casa di secondo livello riconosciuta dalla Regione Veneto, che può ospitare fino a tre nuclei familiari permettendo alle donne, eventualmente anche con i figli minori, di trovare un luogo sicuro in cui cominciare a ricostruire il proprio percorso di vita, con il sostegno dei Servizi sociali e della rete delle associazioni territoriali. Oggi la casa ha due ospiti, mentre negli anni ha accolto 16 donne e 18 minori.

Casa Rifugio a Treviso. Sta nascendo nel Comune di Treviso, invece, la Casa Rifugio di primo livello della Provincia che permette l’accoglienza in emergenza e l’inserimento di donne, sole o con figli minori, vittime di violenza di genere. Beneficiari sono tutti i comuni del territorio afferenti al distretto di Treviso dell’Ulss 2.

Obiettivo del progetto è quello di garantire protezione e ospitalità alle donne e ai loro figli minorenni, a titolo gratuito, salvaguardandone l’incolumità fisica e psichica. Gestita dalla cooperativa La Esse di Treviso in associazione temporanea d’impresa con Casa Religiosa Domus Nostra di Quinto di Treviso, mette a disposizione operatrici formate per l’accoglienza, la valutazione del rischio e la presa in carico di donne vittime di violenza e due unità: una adibita esclusivamente per gli interventi di accoglienza in emergenza, con una disponibilità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e l’altra adibita a Casa Rifugio.

Fondamentale è anche l’attività di educazione, prevenzione e sensibilizzazione che mettono in atto i Centri, soprattutto con le attività nelle scuole.

Da segnalare infine la recente attivazione di un Codice rosa, con conseguente percorso a parte rispetto agli altri ingressi, nel Pronto soccorso dell’Ospedale regionale Ca’ Foncello.

 

SCHEDA SUI DATI

Tre donne su quattro uccise sono italiane

Alcuni dati della ricerca sui femminicidi condotta da Prosmedia e curata da Cristina Martini.

Le donne uccise nel 2017 sono in prevalenza italiane: 78 (il 75,7%); sono invece straniere nel 24,3% dei casi di femminicidio (25). Le nazionalità che si ritrovano tra le vittime: rumena (5), cinese (3), colombiana, nigeriana, albanese, ghanese, marocchina (2), indiana, moldava, russa, tunisina, montenegrina, brasiliana, thailandese.

Gli uomini colpevoli di femminicidio sono per la maggior parte italiani: 78 (nel 75,7 dei casi), 19 stranieri (18,5%) e 6 sono ancora non identificati (5,8%). Le nazionalità: albanese (4), rumeno, marocchino (3), moldavo, ghanese (2), irlandese, nigeriano, svedese, cinese, pakistano, malese, egiziano. In 13 casi su 19 (68,4%) gli offender stranieri hanno ucciso una donna straniera che aveva con loro un legame familiare per lo stesso motivo per cui i colpevoli italiani colpiscono per motivi di genere, ossia perché la ritengono un oggetto di proprietà.

La provenienza delle vittime straniere e dei relativi offender sono in linea con i risultati pubblicati nel “Dossier Statistico Immigrazione 2017” dal Centro studi e ricerche Idos, in partenariato con il Centro Studi Confronti, in cui la collettività più numerosa nel territorio italiano è quella romena (23,2%), seguita dai cittadini dell’Albania (8,9%), del Marocco (8,3%), della Cina (5,6%) e dell’Ucraina (4,6%).

Le vittime hanno un’età soprattutto tra i 31 e i 60 anni (46 su 103, il 44,7%), seguite dalle over 60 (39) e dalle donne tra i 18 e i 30 anni (15); le vittime minorenni nel 2017 sono state tre.

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