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“Mi sta a cuore”, un anno a servizio degli altri

Federica Baron Cardin, trevigiana, racconta l’esperienza vissuta l’anno scorso grazie al progetto promosso da Caritas e Azione cattolica italiane, dedicato ai ragazzi tra i 20 e i 30 anni. Il suo percorso era iniziato in Serbia con don Davide Schiavon e Caritas Tarvisina

Anche per il 2024 Caritas italiana e Azione cattolica italiana lanciano “Mi sta a cuore”, un progetto rivolto a giovani dai 20 ai 30 anni che vogliono mettere a disposizione un anno a servizio degli altri. C’è tempo per presentare la domanda fino al 15 gennaio: i dettagli si trovano su www.caritas.it.

Federica Baron Cardin è una venticinquenne di Treviso che poco più di un anno fa è stata selezionata, insieme ad altri cinque giovani, per partecipare alla prima edizione dell’iniziativa.

Come ne sei venuta a conoscenza?

Dopo la laurea triennale ho fatto un’esperienza di volontariato con Caritas Tarvisina in Serbia in un campo per rifugiati, e, per la prima volta, lì mi sono sentita nel posto giusto. In seguito ho cercato un altro modo per declinare il mio desiderio di mettermi a servizio degli altri, per cui gli operatori della Caritas diocesana mi hanno segnalato questo progetto.

I posti a disposizione erano limitati: come sei riuscita a entrare?

Ci sono stati due giorni di selezioni a Roma; da trenta siamo rimasti in quindici, poi la tutor del progetto e una psicologa hanno osservato come lavorassimo in gruppo e ci relazionassimo; quindi con dei colloqui individuali hanno voluto capire le nostre motivazioni. I partecipanti sono stati scelti in base a questi indicatori.

Com’è stata declinata questa esperienza?

Il progetto prevedeva tre pilastri: l’inserimento in un ufficio di Caritas italiana assegnato in base alle nostre attitudini; i servizi, per cui ciascuno di noi è stato impegnato in varie realtà di Caritas Roma (incontro con i senza dimora, centri di accoglienza, accompagnamento di anziani); la vita comunitaria. Per il resto abbiamo costruito un cammino insieme, per cui siamo stati in Grecia, in Emilia per aiutare gli alluvionati, e al meeting per la Pace “Carta di Leuca”: tutte esperienze estremamente arricchenti, ma non previste inizialmente.

Cosa avete fatto in Grecia?

Siamo stati a Lesbos, per capire come Caritas Hellas opera in quelle zone; abbiamo visitato varie realtà, concentrandoci, però, sul campo per i rifugiati dell’isola dove essa collabora con delle associazioni di volontariato: davvero un segno di speranza in un contesto così difficile.

C’è stato qualche momento in cui ti sei chiesta “Chi me l’ha fatto fare”?

Ci sono stati dei momenti di difficoltà, legati in particolare alla vita comunitaria, che però per me sono state occasioni di crescita con cui ho potuto smussare dei lati spigolosi del mio carattere: un lavoro fondamentale, se si desidera davvero accogliere l’altro.

Qual è l’esperienza che ti è piaciuta
di più?

Il servizio al centro di accoglienza maschile “Ferrhotel” a Roma. Lì mi occupavo di mansioni come cambiare le lenzuola o servire a mensa, ma soprattutto di attività che aiutassero i ragazzi presenti a socializzare tra loro e con gli operatori. Ho avuto modo di costruire delle relazioni di amicizia, fiducia e stima con questi ragazzi, i quali mi hanno insegnato tantissimo: con loro ho capito cosa significa davvero accogliere gli altri ed essere dono, cosa significa sperare e amare.

Cosa diresti a un giovane che ti chiedesse per quale motivo dovrebbe occupare un anno della sua vita in questo modo?

Gli direi che si tratta una grandissima esperienza di crescita, da quella relazionale a quella personale; un’occasione per entrare in contatto con realtà di cui abbiamo solo sentito parlare e con persone che di certo lasceranno il segno. Si parte con l’idea di compiere un servizio, ma poi ci si rende conto che quello che si riceve è decisamente superiore, perché gli altri hanno sempre tanto da insegnarci e farci scoprire sulla vita. Noi giovani tendiamo a concentrarci su noi stessi e a non accorgerci dell’altro: questa è un’occasione, invece, per coltivare uno sguardo di cura e attenzione verso il prossimo.

Intanto, a Treviso, la scomparsa di don Davide Schiavon, direttore Caritas Tarvisina, ha lasciato un grande vuoto...

Non ci sono parole per descrivere la grandezza di un uomo come don Davide. E’ stato un grande operatore di pace, una testimonianza preziosissima di cosa vuol dire dare la propria vita per gli altri, visto che lui ha speso la sua a servizio delle persone più emarginate. Incontrare una persona così non lascia indifferenti e chi lo ha incontrato, ora è chiamato a coltivare e portare avanti il suo sogno, il sogno di costruire un mondo migliore, un mondo con meno povertà e più speranza. Don Davide ci ha lasciato in eredità questa missione: è stato per noi un punto di riferimento e continuerà a esserlo.

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