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Informarsi è bene, ma senza subire passivamente

Proprio in pandemia, vediamo gli effetti preoccupanti della sovraesposizione a discorsi, video e notizie di scarsa qualità: quando le varie conversazioni toccano sempre gli stessi argomenti, quelli che alzano ansia e conflittualità abbassando resilienza, fede e fiducia, meglio cambiare argomento o canale.

18/03/2021

Il dizionario definisce il consumismo più o meno come “l’atteggiamento volto al soddisfacimento indiscriminato, alieno da ideali, programmi e propositi, di bisogni non essenziali”.

In sostanza, il consumismo promette la felicità da pienezza e invece restituisce l’infelicità da superfluo.

Nessuno si stupisce se si afferma che il mondo dei consumi pensi solo, costi quel che costi alle persone e all’ambiente, a produrre, vendere, comprare, accumulare e complicare. Tutto rigorosamente pensato per durare niente e per essere ricomprato subito. Tutto programmato perché giunga il messaggio: devi avere di più perché ciò-che-hai dice chi-sei e quello che si vede non è abbastanza.

C’è però una forma di consumismo più subdola che non riguarda gli oggetti, ma l’informazione.

Pare che nel 2021 una persona riceva in un giorno lo stesso numero di notizie che qualche decennio fa poteva ricevere in sei mesi.

Allora era troppo poco e oggi è fin troppo, un ingorgo cognitivo ed emotivo come viene definito.

Proprio in pandemia, vediamo gli effetti preoccupanti della sovraesposizione a discorsi, video e notizie di scarsa qualità: persone spaventate e arrabbiate oltre misura, bambini e anziani non protetti quindi angosciati, tutti esperti o negazionisti o leoni da tastiera.

Non significa che informarsi faccia male, naturalmente.

Vuol dire piuttosto riconoscere il troppo e la paura che lo sottende: quella di essere giudicati incompetenti.

Significa anche interessarsi consapevolmente, scegliere fonti autorevoli e argomenti che la propria psiche possa in questo momento affrontare.

E decidere di ignorare tutte quelle notizie superflue che non apportano valore alla propria vita e, per molti, neanche allo stato d’animo.

In questo momento storico ci si può sicuramente appellare al fatto che le durezze della vita sono già presenti, senza che si debba andarsele necessariamente a cercare.

Quindi si può scegliere di essere attivi, non passivi, nell’informarsi: vado cioè a vedere ciò che mi interessa, non accetto di scrollare e sorbirmi tutto ciò che scelgono per me i vari algoritmi. Non lascio, inoltre, che la televisione mi riempia la testa ora di futilità, ora di drammi, semplicemente per fare audience.

Elimino i contatti sui social network che condividono solo negatività se non oscenità, perché l’essere umano, pur avendo bisogno di buone notizie, tende sempre a sguazzare in quelle cattive.

Quando infine le varie conversazioni toccano sempre gli stessi argomenti, quelli che alzano ansia e conflittualità abbassando resilienza, fede e fiducia, meglio cambiare argomento o canale.

Potremo così scoprire che essere impegnati e aggiornati è tutt’altro e che un certo tipo di sofferenza è sicuramente una scelta evitabile.

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