Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
VI Domenica del Tempo ordinario: una proposta sconvolgente
![VI Domenica del Tempo ordinario: una proposta sconvolgente VI Domenica del Tempo ordinario: una proposta sconvolgente](http://www.lavitadelpopolo.it/binrepository/1010x685/0c98/1009d586/none/10907/CBEV/karoly-ferenczy-sermone-sulla-montagna_187291_20250213124324.jpg)
Nel Vangelo secondo Luca, il testo delle “beatitudini” viene proposto dall’evangelista alla propria comunità, composta soprattutto da persone che provengono dal paganesimo, più che da convertiti dall’ebraismo come, invece, erano i destinatari di Matteo (Mt 5-7), e questo comporta alcune sottolineature particolari.
Tra felicità e disgrazia. Le “beatitudini”, in Lc 6, vengono strutturate in quattro contrapposizioni, dirette e taglienti, tra «beati voi» e «guai a voi», secondo uno stile che richiama gli oracoli profetici (vedi Is 30,1.18), coerentemente con la presentazione programmatica di Gesù come colui che compie ciò che i profeti avevano annunciato (Lc 4,17-21).
Le “beatitudini”, prima ancora che indicazioni etiche, sono dichiarazioni di fatto: “felici voi che...”. E, proprio in questo, sta la loro grande capacità di provocazione: è una chiamata a cambiare radicalmente sguardo. Perché dichiarare “felice”, già ora già qui, chi è povero, chi piange, chi ha fame? perché “sarà consolato”, “sarà saziato” da Dio, e già ora Dio gli propone di entrare nel suo Regno. Invece, chi è ricco, chi è sazio, chi se la ride è a rischio di ritrovarsi povero, affamato, in lacrime nel Regno di Dio. E’ la “situazione di capovolgimento” (Lc 1,51-53) operata dal Dio di cui Gesù viene ad annunciare il compimento delle promesse, innanzitutto per chi è povero e oppresso (Lc 4,18-19).
Per far cogliere la radicalità di tale proposta, Gesù chiama in causa chi è in condizioni di evidente infelicità e sventura: chi è povero, privato dei beni necessari alla vita, compresa la stima e le relazioni (=emarginato), chi non ha di che mangiare, chi è nel pianto – ho davanti agli occhi chi ogni sera viene a cenare in Casa della Carità, soprattutto coloro che non possono essere accolti a dormire al coperto... Già nel suo modo di fare, Gesù dà inizio al cambiamento che questa visione comporta.
Un così grande sconvolgimento delle sicurezze umane non avrà facile accoglienza: la fine a cui Gesù andrà incontro dichiara quale esigenza di conversione della vita richieda un simile annuncio.
E si riflette sull’ultima “beatitudine”: “felici voi” quando “gli uomini” faranno di tutto per rifiutarvi, fino a voler “esorcizzare” la vostra presenza come segno del male (“disprezzeranno il vostro nome come infame”) “a causa del Figlio dell’uomo”. Quando, cioè, la vostra vita sarà riconosciuta come testimonianza a lui, sarete associati alla sua sorte: da un lato il rifiuto, ma dall’altro l’essere accolti tra i profeti, tra coloro che Dio considera “suoi”, ai quali è riservata una “ricompensa grande nei cieli” (vv. 22-23).
Un altro modo di vivere. La contrapposizione con cui in questo brano si presenta “l’annuncio di felicità” mette in risalto in maniera ancora più diretta che in Mt 5,2-12 la radicalità dello stravolgimento di prospettiva proposto da Gesù. Non più le sicurezze di ricchezze, di cibo, di possibilità di ridere sulle miserie altrui vanno messe al primo posto nella ricerca, spesso ansiosa, di una vita che sia “felice”. Piuttosto, è la scelta di fidarsi di chi ci annuncia, con il suo modo di vivere, che vale la pena di affidarsi all’azione di Dio. Si tratta di accogliere, di situazione in situazione, il suo intervento di misericordia e di amore nella nostra esistenza (Lc 6,35-36), lasciando che la progressiva consapevolezza di quel che lui fa, man mano trasformi le nostre scelte di comportamento e di relazione con gli altri, con noi stessi, con Dio.
Oggi, una responsabilità per noi cristiani. Forse appena ieri ci potevamo “rallegrare” di un movimento di valori che proponeva maggior giustizia, maggior attenzione agli ultimi, maggior solidarietà e cura reciproca, sperando che potesse concretizzarsi in un allargarsi delle possibilità per chi si trova in condizioni di fragilità e bisogno. Oggi, temo ci stiamo rendendo conto che tale orientamento sta cedendo agli interessi e al potere di chi è (stra)ricco, di chi è (stra)sazio, di chi si permette di ridersela apertamente delle condizioni di “povertà” della maggioranza dell’umanità. Ancor più allora si rivela che la nostra scelta di credere come cristiani a un altro modo di vivere “felici” diventa testimonianza imprescindibile per tutta l’umanità. Ancor più siamo chiamati ad una scelta “profetica”, sullo stile di Gesù, scelta di parlare e agire secondo il suo “comandamento” (Gv 15,12). E questo sarà possibile se agiremo non da soli, ma tenacemente impegnandoci a far crescere relazioni di comunità convertite dall’annuncio delle “beatitudini” e aperte al cammino con tutti gli “uomini e donne di buona volontà”, in progetti che offrano concreta speranza a chi è in difficoltà. Camminando insieme a Gesù fino alla Pasqua nostra e del mondo intero, “lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”, come Paolo esortava allora i cristiani in Roma - e noi oggi (Rm 12,12).