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Giuseppe Bassi: a 104 anni il reduce di Russia non smette di raccontare

Il racconto della guerra da parte di un sopravvissuto ai campi di prigionia nazisti. Lui vive a Villanova di Camposampiero e, nonostante l'età, ha ancora una memoria brillante. 

28/02/2023

Se gli si chiede l’età, risponde che ha cento anni. Da quel momento, ha smesso di contarli, e ne ha tutto il diritto. Nel frattempo, è già arrivato a 104. Giuseppe Bassi, classe 1919, con il tempo ha un rapporto particolare. C’è stato un momento, drammatico per lui e per migliaia di soldati italiani, in cui, da solo, poteva contare i giorni e le ore. Fu l’unico prigioniero, durante la ritirata di Russia, iniziata nel 1943, a tenere un orologio, che aveva nascosto dentro le scarpe. “Per questo - racconta - mi chiamavano «Bassil’ora»”. Quell’orologio, insieme a un’impressionante collezione di cimeli, libri, ricordi,  fa bella mostra nella casa di Giuseppe, a Villanova di Camposampiero, in provincia di Padova, a due passi dal territorio della nostra diocesi.

L’ho incontrato la scorsa settimana, per conoscere la sua vicenda e, magari, per incrociarla con quella del nonno, il maggiore degli alpini Aldo Desidera, che invece dalla Russia non tornò, morendo nel terribile campo di concentramento di Krinovaja. Con me anche la zia, Bruna, che aveva nove anni quando il papà partì per la Russia.

Bassi, artigliere, ma amico di molti alpini, per sua fortuna, non ha avuto modo di conoscere il maggiore Desidera: “Krinovaja è stata la tomba degli alpini. Non ebbe nulla da invidiare a quelli nazisti. Io ho potuto visitare quel campo molti anni dopo”. Giuseppe partì per la Russia nell’ambito del primo corpo di spedizione (Csir, costituito nel 1941, cui seguì l’Armir), come sottotenente del 120° reggimento Artiglieria. “Fatto prigioniero, ho vissuto nei campi di prigionia di Oranki e Suzdal’ (due città a est di Mosca, molto più a nord della linea del fiume Don, ndr). Ho visto tanti compagni morire congelati. Sono stato tra i pochi a non aver bisogno di particolari cure mediche, fino al ritorno a casa, nel 1946”.

Da quel momento, Giuseppe Bassi non ha lasciato nulla d’intentato per ricordare quanto aveva vissuto, e per dare voce alle decine di migliaia di soldati che invece non ce l’avevano fatta. Ha messo insieme i ricordi personali, documenti, libri. Non si contano le interviste, ma Giuseppe è stato anche protagonista di un documentario e di una serata televisiva. Geometra di professione, ha disegnato per alcuni volumi i luoghi delle battaglie, della ritirata, i campi di prigionia. Ha mantenuto rapporti e amicizie, come quella con il cappellano militare don Enelio Franzoni, che celebrò il suo matrimonio, e con il generale degli alpini e medico Enrico Reginato.

Nulla deve andare disperso. E anche ora passerebbe giornate intere a raccontare e a guardare fotografie. Con un’ancora invidiabile agilità si alza e apre la vetrina che contiene ricordi e cimeli. “Questo - ci dice mostrandolo - è lo spazzolino da denti che ci siamo fabbricati. E questo è un piccolo specchio”. Inevitabile chiederli cosa pensi della guerra che si sta combattendo a poche decine di chilometri dalla linea del fronte del 1942:“Ho visto, sono cose da matti”. 

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