sabato, 23 novembre 2024
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Nomadi, non sia solo emergenza

Su una recente circolare del Viminale si parla di "ricognizione degli insediamenti" volta a appurarne le illegalità oppure, nel caso di insediamenti autorizzati, per le condizioni igienico sanitarie ed ambientali. Tutto bene? Non proprio.

No, non si tratta di “censimento dei nomadi”. La circolare del Ministro dell’Interno n. 16012/110 del 16 luglio 2019 non usa mai tale termine, forse perché le polemiche di un anno fa hanno fatto emergere in maniera chiara l’incostituzionalità di un “censimento” che di fatto si trasformava in “schedatura” su base “etnica” e chiaramente discriminatoria. Si parla piuttosto di “ricognizione degli insediamenti” volta ad accertarne le illegalità, quanto ad uso dei terreni o, nel caso di insediamenti autorizzati, per le condizioni igienico sanitarie ed ambientali. La circolare prende spunto dall’incendio nel campo di Lamezia Terme e allarga gli accertamenti fino alle segnalazioni relative alle condizioni dei minori presenti nei campi. L’obiettivo dichiarato è l’acquisizione di informazioni utili al “progressivo sgombero delle aree abusivamente occupate”. Certo, “nel contempo” si prevede anche l’attivazione di “positive dinamiche di ricollocamento degli interessati”, e “fra l’altro”, le competenze delle amministrazioni regionali e locali in vista dell’ “accesso ai servizi di carattere sociale, sanitario, assistenziale e scolastico di chi ne ha diritto”. Tutto bene, quindi?
No, perché tale provvedimento è molto specifico per quanto riguarda le “condizioni di illegalità”, spesso presenti, da accertare, ma molto meno per quanto concerne le misure per superare tali condizioni. E chi lavora in questo campo da anni, sia a livello istituzionale che a livello volontario, sa benissimo che le questioni relative ai campi nomadi sono molte e complicate, e talvolta così specifiche di un singolo insediamento o di singole famiglie da chiedere impegni assai diversi dalle “cabine di regia” previste “se del caso” dalla circolare. Ben venga un impegno del Governo verso una popolazione – in gran parte di cittadinanza italiana – che spesso presenta condizioni di vita «altre» rispetto alla maggioranza dei cittadini (ricordiamo comunque che in provincia di Treviso oltre il 40% di costoro risiedono in case di proprietà o in alloggi popolari). Purché si dia davvero spazio a “mirati interventi di sistema”, che non si improvvisano con una circolare. Purché invece non si avvii l’ennesimo provvedimento emergenziale, che rischia di tradursi in azioni altrettanto emergenziali, giungendo ad una condizione finale peggiore della situazione attuale. Il provvedimento infatti sta già creando allarme e preoccupazione tra gli abitanti dei campi, con fake news che girano sui social ad inasprire gli animi. Ma rischia la reazione altrettanto allarmata e incattivita degli altri abitanti di quartieri e paesi, quando si troveranno di fronte all’incapacità delle amministrazioni locali di far fronte in tempi brevi a quelle “positive dinamiche di ricollocamento” di tante famiglie senza più dimora, visti i ben pochi strumenti a disposizione degli enti locali in merito. Se guardiamo alle recenti reazioni suscitate a Casal Bruciato per il “positivo ricollocamento” di una famiglia rom, siamo davvero convinti che queste cose si possano fare in maniera autoritaria e improvvisa, senza un adeguato percorso di accompagnamento sia delle famiglie in questione sia degli altri abitanti dei quartieri interessati? E come fare i conti con le polemiche che subito nascono quando parte dell’esiguo numero di case popolari a disposizione dei comuni viene assegnata per questi “ricollocamenti”? Invece delle auspicate “ripercussioni positive sulla salubrità dell’ambiente” naturale, si rischiano ripercussioni negative ed esacerbate nell’ambiente umano. A chi giova, alla fine, innalzare ancora una volta il livello di aggressività sociale?
Non ci nascondiamo che la relazione tra i “nomadi” (rom, sinti, e molti altri) e il resto della popolazione locale sia solitamente segnata da una diffidenza reciproca per modi di vivere non condivisi, che possono sconfinare nell’illegalità. Tuttavia, come per altre situazioni di marginalità, il modo più efficace per superare tali tensioni è ancora quello di una seria opera di promozione umana e costruzione di dignità personale e collettiva. Esperienze in questo senso vi sono, in Italia, anche se non vengono molto pubblicizzate. Si tratta di percorsi impegnativi i quali dicono con la forza del vissuto che la questione può essere posta anche in altri termini, piuttosto che venir confinata nel limbo di una conflittualità inevitabile e rancorosa, da entrambe le parti. Come comunità cristiane siamo chiamati a conoscere queste esperienze e a valorizzarle, per intuire, lì dove vi sono presenze di famiglie rom e sinti, possibilità di un approccio più positivo, pur laborioso per tutti.

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