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Giorno del ricordo: le ragioni dello stare insieme

Il desiderio del figlio di esuli fiumani Alessandro Tich

“Abbiamo continuato a tornarci tutte le estati. Credo che da quando sono nato, mio padre mi portasse a Fiume ogni anno. Il mio legame con quella terra è nato così. Continua, visto che ho sposato Marinka, croata, madre dei miei due figli. Il più grande, nato a Fiume, vive a Trieste: ha vissuto con me e sua madre in Italia, ma lavora a Fiume. È un attore e fa parte del Dramma italiano di Fiume, la compagnia di prosa di lingua italiana del Teatro nazionale croato”.

Così Alessandro Tich, firma impareggiabile del giornalismo vicentino e veneto, direttore di Tg Bassano e oggi direttore di Bassanonet, ricorda la sua famiglia di esuli fiumani.

“Non dimentico di essere figlio di profughi fiumani. Ecco, nella mia famiglia e anche in quella allargata, fatta di molti zii e zie, per fortuna non ci sono vittime, infoibati. I miei genitori mi hanno parlato poco del primo periodo del profugato. Credo per quella fierezza che contraddistingue molte persone, la voglia di non ricordare un periodo difficile, per certi versi umiliante. Io sono nato a Roma nel '59, i miei genitori lasciarono Fiume nel 1947, e poi ho vissuto a Mestre: mio padre trovò un impiego a Venezia e fu un grande fotografo”.

“Ricordo solo una zia, era segretaria di Giuseppe Sincich, autonomista, ucciso il 3 maggio ‘45 per strada, dai titini (soldati dell’esercito di Tito, ndr), appena arrivati. Mia zia è stata imprigionata. La liberarono, ma lei non volle più tornare. Forse è l’unica tra i miei parenti che non ho più rivisto là, in quella terra che divenne Jugoslavia”.

La vita di Tich si è, poi, dipanata in Italia, con qualche episodio complicato e sgradevole. “In quegli anni, quando andavo a scuola, non si parlava dei profughi, dell’esodo giuliano-dalmata. Chissà, forse il compromesso storico tra Dc e Pci. Forse la cortina di ferro. Fatto sta che quando a scuola sentivano questo cognome, Tich, così poco veneto, suscitavo curiosità. In quell’occasione si parlava un po’, ma tutti avevano poche notizie e informazioni”.

Non dimentica, Tich, che i profughi esodati in Italia nel '47 venivano considerati dei fascisti da una parte, perché avevano scelto di non aderire alla Jugoslavia di Tito, allora esempio di rivoluzione sociale positiva. Dall’altra erano poco amati, perché, in quel periodo di scarsa occupazione, la loro condizione di profughi assicurava delle facilitazioni. “Solo con l’introduzione della Giorno del ricordo, che si celebra il 10 febbraio, si è cominciato a parlare dell’esodo giuliano-dalmata. Allora, piano piano, nelle conferenze, nei racconti degli storici, ho iniziato a vedere emergere la verità. Quello che non mi piace è che ogni anno c’è sempre qualche storico di sinistra che sminuisce l’evento e qualche storico di destra che lo enfatizza in chiave antisinistra. Non è questo lo spirito del Giorno del ricordo, tanto più che oggi la Croazia è Europa. Possiamo recarci là senza più quella cortina di ferro che fino agli anni '90 ha diviso l’Europa”.

Tich, tra le migliaia di documenti e di foto dei suoi genitori, ha ritrovato un autografo di Gabriele d’Annunzio, guida della memorabile impresa di Fiume, raccolto dal nonno. “Mio nonno era un autonomista. Ignazio Milcenich ha creduto in Fiume città libera e autonoma. Fiume era una città cosmopolita: le economie slava e italiana erano integrate. C’erano ungheresi e tanti altri popoli presenti. Su tutto questo, nel 1941, si era calata prima la scure fascista e poi la violenza nazista”.

“Mio padre conservò sempre l’orgoglio di essere italiano. Quando arrivava un certificato di nascita necessario per qualche ufficio con scritto «nato a Fiume, Jugoslavia», si premurava di correggerlo in «nato a Fiume, Italia». Questo non gli ha mai impedito di tornare in Croazia, di sentirsi amico con gli altri gruppi etnici, nello spirito più autentico della sua Fiume. Io e la mia famiglia abbiamo chiuso il cerchio. Così è accaduto. Così vorrei fosse lo spirito del Giorno del ricordo: il ritrovarsi. Nel ricordo struggente, ritrovare le ragioni dello stare insieme”.

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