Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Da “Bilanci di pace” l’appello: “Rompere il silenzio sulle guerre”
Con l’incontro di giovedì sera, 16 gennaio, nell’aula magna dell’istituto Mazzotti di Treviso, sono cominciati gli appuntamenti “Bilanci di pace” (16ª edizione), promossi dalla Caritas tarvisina, unitamente a Pastorale sociale e del lavoro, Centro missionario, Migrantes e il giornale diocesano La vita del popolo come media partner.
Ha ricordato nella presentazione don Bruno Baratto, direttore di Caritas tarvisina: “Quest’anno abbiamo scelto di porre l’accento sui conflitti dimenticati, globali e locali, e di promuovere un tentativo di iniziare a rispondere alla domanda cosa ciascuno di noi può fare”.
È seguito il saluto del vescovo, Michele Tomasi, il quale ha sottolineato che “quando si stila un bilancio di qualunque natura si danno un po’ di numeri, ma si determinano delle priorità”. E ha proseguito affermando che “non esiste un unico criterio” e, “a seconda di come si guardano i numeri che si sono dati, si può poi capire come valutare le cose. Soprattutto, dando priorità e guardando i fenomeni, si scopre quale è la scala di priorità che ci muove”. E questo è vero non solo “nei bilanci economici, ma soprattutto in quelle di pace, o di non pace, che studiamo. Vediamo dopo poco se non siamo ciechi, che dietro i numeri ci sono persone, ci sono storie, ci sono vicende.” E’ importante “prendere coscienza dei numeri , ma soprattutto delle storie, delle vicende e, per quanto possibile, dei volti”.
Silvia Sinibaldi, vice-direttrice di Caritas italiana, ha presentato l’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati – percorso di approfondimento avviato a partire dagli eventi del 11 settembre 2001 – e che ha come titolo “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo” (edito per le Edizioni San Paolo).
I Rapporti sui conflitti dimenticati, ha spiegato Silvia, vengono pubblicati ogni tre anni e si propongono di “raccontare quello che non viene raccontato” partendo da “una posizione privilegiata di osservazione” che ha Caritas italiana essendo presente in “tante situazioni del mondo che non godono della risonanza, che forse meriterebbero, sui media. “Il desiderio di questo tipo di rapporto è di dare voce a chi non ha voce, non soltanto gli individui ma alle loro comunità, alle terre delle quali mai si parla”.
L’ultimo Rapporto si concentra sul peso mediatico delle guerre nell’agenda informativa, con particolare interesse agli aspetti umanitari e al legame tra guerra, ambiente e transizione ecologica. Uno spazio di approfondimento è dedicato al ruolo dell’acqua, risorsa limitata per eccellenza, che può divenire causa, strumento e obiettivo di un conflitto.
Silvia nel descriverne la struttura (tre parti, dodici capitoli), e i suoi contenuti ha sottolineato come esso si ponga come “un’azione di resistenza” in un mondo che spende sempre più in armamenti e un’opportunità nel “cercare di portare l’attenzione su aspetti e situazioni di conflitto armato, in giro per il mondo del quale non si parla”, offrendo anche contenuti e percorsi di speranza.
Sono 52 gli Stati del mondo che vivono situazioni di conflitto armato, erano 55 nel 2022; 4 le guerre ad altissima intensità, con più di 10mila morti (erano 3 nel 2022): guerre civili in Myanmar e Sudan, conflitti Israele-Hamas e Russia-Ucraina; 20 le guerre ad alta intensità (sotto i 10 mila morti), erano 17 nel 2022; 170.700 i morti per causa diretta di azioni di guerra (153.100 nel 2022), il numero più alto dal 2019.
I due principali conflitti dimenticati si trovano nel cuore dell’Africa: Sudan e Rep. Dem. Congo. Tutti i continenti, purtroppo, però ne sono interessati!
All’analisi dello scenario geopolitico internazionale il Rapporto aggiunge alcune ricerche specifiche di contesto. Una di queste è un sondaggio demoscopico relativo alla conoscenza e alla percezione dei conflitti nell’opinione pubblica dove emerge, rispetto all’edizione del sondaggio di tre anni fa, un “forte incremento di conoscenza del conflitto negli italiani: il 71% degli intervistati è in grado di citare almeno una guerra degli ultimi cinque anni (nel 2021 era solo il 53% della popolazione). Il conflitto più spontaneamente citato è quello russo-ucraino (47%); tre su dieci ricordano il fronte israelo-palestinese; il 16% cita la Siria”. Il sondaggio ha rilevato che tre italiani su quattro hanno ancora una buona fiducia nel ruolo della comunità internazionale per prevenire la guerra o attivarsi per la mediazione tra le parti.
Interessanti anche gli indicatori emersi nella ricerca fatta tra i giovani attraverso i social media sulla consapevolezza della guerra e di come si parli dei conflitti dimenticati e l’analisi sulla presenza dei conflitti dimenticati nei contenuti trasmessi dai principali TG italiani. In quest’ultima la vice-direttrice di Caritas italiana ha evidenziato come nel 2023 quelle relative alla guerra hanno riguardato l’8,9% di tutte le notizie. L’attenzione mediatica si è concentrata quasi esclusivamente sul conflitto israelo-palestinese (50,1%) e russo-ucraino (46,5%), lasciando il restante spazio (3,4%) per raccontare la guerra di altri 15 Paesi. Per altri paesi in guerra non c’è stata alcuna copertura mediatica.
Sinibaldi ha infine posto l’accento sui numerosi progetti in 28 Paesi interessati da conflitti a estrema o altra gravità in cui Caritas italiana, anche attraverso l’apporto delle Caritas diocesane, si è attivata negli ultimi 5 anni.
L’intervento di don Piero Zardo, cappellano del carcere di Treviso da 29 anni, ha portato alcuni frammenti di quotidianità della realtà carceraria, spesso soggetta a stereotipi, paure e pregiudizi.
“Il carcere – ha esordito don Piero - è una realtà che sembra appaltata, lasciata lì per conto suo, mentre è una realtà profondamente del nostro territorio, come ogni alta realtà in cui ci sono persone. Il carcere, probabilmente è un qualcosa che passa per scontato, non è, non ci interessa, non ci tocca, non anche deve toccarci, perché sta a vedere se cominciamo a metterci il naso su certe cose, poi non riusciamo magari a trovarci, a capire come fare, ecc.” Proseguendo nella sua riflessione ha ricordato come sia una “situazione conflittuale” vicina che “riflette esattamente quello che capita nelle nostre comunità” e che viene spesso rimossa dalla consapevolezza collettiva – che nasce dalla dicotomia tra chi è ‘dentro’ e chi è ‘fuori’ dalla società, tra chi è ‘giusto’ e chi è ‘sbagliato’ secondo i modelli sociali – sia durante il periodo della pena, sia, soprattutto, all’uscita dalla condizione di detenuti, nel momento di un reinserimento nelle relazioni e nella vita quotidiana. “L’esperienza del carcere è simile ad una esplosione “in cui gli equilibri saltano tutti, anche quelli che prima erano consolidati”. Saltano gli “equilibri affettivo, economico, relazionale”, così come avviene una guerra tradizionale con le armi. “C’è qualcosa di ignoto che viene avanti” e per questo è importante prenderne consapevolezza per sostenere, in vari modi, i familiari dei detenuti e dare nuove possibili per una rinascita a chi ha scontato la pena una volta che ne è uscito.
Al secondo appuntamento di giovedì 23 sulla comunicazione nonviolenta seguirà domenica 26 gennaio la Marcia per la Pace a Castelfranco Veneto, con partenza alle ore 14,00 accanto alla fontana di Borgo Padova.