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Ius scholae: sarà la volta buona?
Sono in corso riunioni per arrivare alla discussione in aula, calendarizzata a partire dal 29 giugno, e alla successiva approvazione di un testo condiviso. L'on. Brescia (relatore): "Chi sostiene questa legge crede nella scuola come motore di integrazione. E’ molto difficile dire che chi studia con i nostri figli non è italiano. In Veneto, il 14% degli studenti è di origine straniera e soprattutto il 72% di loro è nato in Italia, non ha mai conosciuto il Paese d’origine dei genitori”.
In Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati è iniziato, lo scorso 19 aprile, l’esame degli emendamenti al disegno di legge per il riconoscimento della cittadinanza ai minori figli di stranieri, con il meccanismo dello “ius scholae”. Il testo, scritto dal presidente della Commissione Giuseppe Brescia (M5S), fa sintesi delle tre proposte presentate da Matteo Orfini (Pd), Laura Boldrini (Leu) e Renata Polverini (Fi). Sono in corso riunioni per arrivare alla discussione in aula, calendarizzata a partire dal 29 giugno, e alla successiva approvazione di un testo condiviso.
I criteri previsti da questo disegno di legge sono più blandi rispetto allo “ius soli” (vedi scheda qui sotto), vigente in altri Paesi e “bocciato” più volte dal Parlamento italiano negli ultimi dieci anni. L’attuale legge di cittadinanza penalizza migliaia di ragazze e ragazzi, escludendoli dalla piena fruizione dei diritti civili per molti anni. I figli di genitori stranieri devono aspettare i 18 anni per fare la richiesta di cittadinanza, hanno un solo anno di tempo per presentare la domanda e devono dimostrare di essere stati residenti in Italia dalla nascita al compimento della maggiore età. Queste condizioni, di fatto, impediscono una piena integrazione fino, almeno, al compimento dei 18 anni.
Il testo elaborato in Commissione è composto di due soli articoli e mira a modificare la legge 91/1992 sulla cittadinanza, prevedendo che possa acquisire la cittadinanza italiana, su richiesta, il minore straniero nato in Italia, o giunto in Italia prima di compiere 12 anni, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e abbia frequentato regolarmente uno o più cicli scolastici, o un percorso di formazione professionale per almeno 5 anni. Per approfondire meglio l’iter del disegno di legge abbiamo posto alcune domande al presidente della Commissione, on. Brescia.
Presidente, dopo 30 anni dalla legge sulla cittadinanza siamo pronti a voltare pagina con il passaggio parlamentare sullo “ius scholae”, riconoscendo i diritti ai molti ‘italiani’ che per lo Stato sono ancora stranieri di seconda o terza generazione?
La Commissione ha lavorato con grande impegno, discutendo centinaia di emendamenti. Ora si va in aula. C’è stato un forte ostruzionismo da parte di chi pensa che questa legge non sia una priorità. Evidentemente, questa legge è una priorità nell’agenda della loro opposizione. Come relatore, ho presentato volutamente un testo molto semplice, chiaro e asciutto, fatto di due articoli. Non c’è nessuno “ius soli” in discussione. Non parliamo di una mega riforma, ma è il cambiamento possibile con il tempo che abbiamo a disposizione.
Quali sono i capisaldi del meccanismo di riconoscimento della cittadinanza italiana per chi ha svolto un percorso scolastico?
Chi sostiene questa legge crede nella scuola come motore di integrazione. A scuola si cresce insieme agli altri, si diventa comunità e cittadinanza. In questi mesi, diversi sono stati i contributi della società civile a favore di questa legge e ho particolarmente apprezzato il sostegno competente di pedagogisti e pediatri. E’ molto difficile dire che chi studia con i nostri figli non è italiano. In Veneto, il 14% degli studenti è di origine straniera e soprattutto il 72% di loro è nato in Italia, non ha mai conosciuto il Paese d’origine dei genitori. Oggi chi nasce in Italia da genitori stranieri deve aspettare la maggiore età e con le lungaggini burocratiche rischia di avere la cittadinanza troppo tardi rispetto al proprio progetto di vita. Questa legge è un atto di libertà e civiltà.
I criteri previsti da questo disegno di legge sono più blandi rispetto allo “ius soli”. Sarebbe una doverosa presa d’atto delle profonde trasformazioni avvenute nella società italiana?
Più che blandi, definirei i criteri in linea con la realtà e in sintonia col Paese. Lo ius scholae è una risposta pragmatica, è un’idea di società, non una proposta di partito.
Il 2022 potrebbe essere anche l’anno nel quale il nostro Paese recupera un ritardo di 29 anni e 7 legislature dalla risoluzione Onu 48/134 del 20 dicembre 1993, che esortava tutti gli Stati contraenti a istituire organismi nazionali, autorevoli e indipendenti, per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali?
La proposta di legge è in Commissione, ma anche su questo tema ci sono state diverse resistenze ideologiche da parte della Lega tradotte, come da tradizione, in centinaia di emendamenti ostruzionistici. Il Governo è a favore dell’istituzione di quest’organismo indipendente. Siamo tra i pochi in Europa a non averlo e questa lacuna è una vergogna. Il Governo Berlusconi, nel 2010, presentò un disegno di legge per l’istituzione di questa Commissione indipendente, ma dopo l’ok del Senato il ddl si fermò alla Camera. Nei mesi scorsi un senatore della Lega ha presentato un atto parlamentare a sostegno di questa istituzione e pare aprirsi un canale di dialogo.