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Il racconto di un’estate di servizio in carcere

Presenza che si fa speranza, alla Giudecca
10/10/2024

Con un’amica che svolge il suo servizio nel carcere di Santa Bona a Treviso, si parlava della realtà carceraria, delle problematiche a essa legate e delle azioni di speranza possibili. Poi, durante una cena mi ha presentato una proposta: partecipare al progetto “Con i miei occhi. Cercatori di perle”, legato a un campo di servizio svolto da un gruppo di giovani con le suore di Maria Bambina di Venezia, che prevedeva la presenza di volontari nel carcere femminile della Giudecca per una settimana.

Una settimana in cui, attraverso alcuni laboratori attivati con le donne presenti, si potesse “ promuovere la conoscenza e l’apprezzamento delle diverse culture culinarie presenti nel carcere, fornire alle ospiti competenze pratiche, favorire l’integrazione e la collaborazione, creando un ambiente inclusivo e di supporto reciproco, migliorare il benessere psicologico attraverso attività creative e gratificanti”.

E’ iniziata così questa esperienza. Carcere, il termine stesso richiama alla mente immagini e sentimenti più svariati, personalmente un senso di timore, ansia, paura dell’ignoto, dell’assenza di libertà, sofferenza, reclusione, colpa, pena. Quando, poi, entri e lasci tutto ciò che porti con te nelle cassette di sicurezza, ti rendi conto che ciò che puoi portare sei solo tu. Solo te stesso, ed è questo che puoi offrire a chi incontri. Non conosci niente di queste persone e loro di te, ti è chiesto solo di lavorare insieme per creare piatti tipici da offrire a tutte le residenti.

Così, cuocendo il riso, preparando il ragù, friggendo gli arancini, preparando le “sarmale”, sbucciando le patate o cuocendo le zucchine, ti confronti sulla diversità dei modi di cucinare, sul valore evocativo dei piatti per ciascuno di noi, sulle tradizioni familiari e regionali, sui ricordi, sulle piccole cose della vita: nascono relazioni semplici che possono dare un tocco diverso al vissuto quotidiano. Alla presenza di giovani agenti della polizia penitenziaria che sorvegliano, ascoltano, a volte intervengono o sono chiamate a fare da assaggiatrici, trascorrono le ore del laboratorio. Condividere, a fine giornata, i prodotti elaborati con le altre donne, andare nelle sezioni a distribuire quanto realizzato è stato un rendersi conto di quanto un semplice assaggio può rivelarsi importante per ciascuna di loro e farle sentire importanti, partecipi di quanto si stava facendo.

Il giorno di Ferragosto è stato preparato un menù speciale e sono state invitate le donne a partecipare liberamente. Buona è stata la partecipazione, il modo di vestire curato ha dato valore al momento. Mi ha fatto riflettere sulla dignità di ogni persona: dignità che “proprio perché intrinseca, rimane al di là di ogni circostanza” , dignità che, assetata di segni di speranza, cerca di dare un senso, un ordine allo scorrere del tempo, anche in questo luogo. Provenienze, esperienze, età, lingue diverse riunite nello stesso luogo e obbligate dal destino a vivere insieme, devono far trovare delle strategie per affrontare il quotidiano; ma che cosa può creare relazione, unione?

Oltre le occasioni di laboratorio, la musica, per esempio: è un messaggio che non ha frontiere e supera tutte le barriere, danzare insieme sulle note di uno stesso ritmo si inserisce in quella comunicazione non verbale che ci lancia messaggi e allo stesso tempo ci permette di cogliere la specificità di ciascuna. Abbiamo, così, condiviso momenti ricreativi che hanno portato a tutte serenità e leggerezza. Le messe del sabato sera e quella della festa dell’Assunta sono stati due momenti intensi, dove insieme abbiamo pregato, cantato, condiviso la Parola. Come non mai ho sentito forte il valore di un amore che non si ferma davanti a nulla, che non chiude gli occhi, che sa stare nelle situazioni, anche le più difficili, e che non ti lascia solo.

Semplicità, carità e speranza sono le parole che credo possano far capire meglio questa esperienza. Semplicità per andare incontro all’altro sospendendo ogni giudizio e mettendosi in ascolto. Carità che riconosce quella fraternità che ci fa tutti ospiti non infallibili di questo mondo e ci spinge ad adoperarci per creare nuove occasioni di dono, di stare con l’altro, di aprirci a un abbraccio. Una donna nel momento di incontro di verifica finale ha detto “Grazie perché la vostra presenza ravviva la nostra speranza”. Tante queste speranze: che nonostante gli errori si possa riprendere in mano la propria vita, che si possa sperimentare una giustizia riparativa e non solo punitiva, che si possa trovare una nuova via di riscatto e un reinserimento positivo nella società e la speranza di non essere lasciate sole.

L’impegno e l’entusiasmo delle ragazze che con me hanno partecipato all’esperienza come volontarie sono state, infine, immagine positiva di persone che hanno voglia di vivere in pienezza questa vita, certi che è donando che si riceve, che guardando con i Suoi occhi, gli occhi dell’amore, tutto diventa prezioso e a ognuno rimane il compito di divenire “Cercatori di perle”.

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