Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
XXXII Domenicadel Tempo ordinario: Donare “la vita intera”: insensato?
Nel brano di questa domenica vengono narrati due episodi, da ascoltare insieme. Riguardano gli avversari (in questo caso gli scribi) e i discepoli.
Un comportamento ipocrita
Nel primo, si rimprovera chi si proponeva come autentico interprete della Torah – delle indicazioni su come vivere secondo la volontà di Dio. Costoro, infatti, dimostrano con la loro condotta ciò che vogliono davvero: essere riconosciuti come autorità e averne i privilegi. Lo fanno in maniera vanitosa e ipocrita, e le loro preghiere sono smentite dal loro comportamento, visto che approfittano dei beni delle vedove, soggetti che la Torah impone di tutelare. Incarnano una situazione di “anti-discepoli”: a chi lo segue, infatti, Gesù chiede di farsi non primo, ma ultimo e servo, come ha scelto di fare lui.
Un comportamento “irragionevole”
Il secondo episodio mette in rilievo un comportamento che può apparire irragionevole: una «vedova povera» la quale «getta» nel «tesoro» del Tempio «tutto quanto aveva per vivere», letteralmente «tutta la sua vita» – che vale praticamente nulla, la somma è pari ad un’infima parte del salario di una giornata. Non è detto chiaramente se questo gesto sia da imitare oppure no, se abbia senso privarsi di quanto serve a vivere per «gettarlo» in un «tesoro» amministrato in maniera discutibile. È tuttavia messo evidentemente in contrasto con quello dei «molti ricchi» che «continuano a gettare» nel «tesoro» «molte monete»: se costoro in termini assoluti fanno una elemosina abbondante, in termini relativi a ciò che possiedono, fanno dono solo di una parte del proprio superfluo. Lei, invece, offre «la sua vita intera». Azione insensata, riguardo alla quale facciamo “sensata resistenza”: che senso ha che una vedova, la cui categoria è appena stata dichiarata a rischio di sfruttamento da parte delle autorità religiose del tempo (v. 40), getti il niente che gli è rimasto in un «tesoro» che aumenta il potere di chi, invece di difenderla come la Torah richiede, la opprime con illecite richieste?
Ed è inevitabile ritornare all’incontro con il ricco che non accetta la proposta di Gesù, anch’esso un “non-discepolo”, mentre il fatto che Gesù chiami a sé i suoi e dia solennità alla sua dichiarazione (v. 43) indica l’autorità di un insegnamento importante. I termini usati ci portano a ricordare quanto affermato due capitoli prima: il Figlio dell’Uomo è venuto per dare l’intera propria vita come tesoro capace di riscattare dalla morte le moltitudini (Mc 10,45). È anch’essa azione da considerare insensata, come quella della vedova, è dono senza risparmio, come quello della vedova. Il gesto di lei è un modo semplice e radicale per dire il suo amore per Dio, con tutto quello che ha per vivere, e compie così a suo modo il «primo comandamento di ogni cosa» (Mc 11,28-30). E chi segue Gesù, dovrà ricordare che «chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,45).
Una doppia provocazione
Il rilievo dato da Gesù a quel gesto ci provoca, così, in due direzioni. La prima, a livello strutturale delle nostre comunità, e della società civile: è necessario che collettivamente si provveda affinché non si creino condizioni in cui chi è più fragile e bisognoso è ridotto ancor più in povertà perché è costretto in tale situazione dall’abuso di potere di coloro che devono, invece, garantirne i diritti. E in questa direzione, quanta strada da fare... La seconda provocazione coinvolge direttamente la nostra relazione con Dio: ci fidiamo di lui al punto da mettergli in mano «la vita intera»? Quel che so di me stesso è che mi è molto difficile.
D’altra parte, anche per Gesù è stato ben faticoso, fino al grido di abbandono sulla croce. Ciò che lo ha sorretto in quell’ultimo tratto di vita è stata tutta l’esperienza vissuta con un Padre di misericordia, che gli affidava tutto il suo amore e insieme gli chiedeva di donarlo pienamente, con la sua «vita intera», a noi.
Un’esperienza necessaria
Solo l’esperienza di essere amati da chi continuamente ci dona vita, amati di un “amore affidabile” che ci precede
e mai ci abbandona, può sostenerci nell’affidargli la nostra «vita intera».
Un amore che passa per le tante “piccole” esperienze dei nostri incontri quotidiani,
e che può diventare travolgente in alcuni momenti e relazioni di particolare intensità
e autenticità. Esperienze in cui l’amore per Dio è generato dall’accogliere con stupore il suo amore potranno condurci, un passo alla volta, ad affidarci sempre più completamente a lui. L’accoglienza dell’amore del Padre purificherà il nostro agire da ipocrisie
e da comportamenti oppressivi, centrati
su una inestinguibile sete di essere al centro, costi quel che costi. Diventando, invece,
in continuo confronto e cammino comunitario, costruttori di bene
per chi è più fragile ed emarginato.
E seguire Gesù, da discepoli, e affidargli
le nostre resistenze e i nostri slanci, lasciandoci trasformare il cuore dal suo Spirito, lasciandoci meravigliare dal bene che lui semina nelle nostre vite e che nutre il cammino verso la pienezza del suo Regno, la pienezza della Pasqua.