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XXX Domenica del Tempo ordinario: Seguire Lui, senza “se” e senza “ma”

Il grido di vita di Bartimeo e il nostro, quando scegliamo di credere che saremo ascoltati

Dopo l’ultimo incontro di guarigione prima di “salire a Gerusalemme”, finalmente qualcuno, Bartimeo figlio di Timeo, sceglie di seguire Gesù “senza se e senza ma”.

Credere, uscire

Lo fa “uscendo” con lui da Gerico, “uscendo” da una condizione di marginalità e di svalutazione sociale, “uscendo” da una minorazione che lo aveva lasciato “al bordo della strada”. E lo fa credendo: credendo al proprio desiderio, credendo che colui che passava era Gesù/Dio salva, riconoscendolo nonostante la sua cecità con sguardo ben più acuto della folla – non “Gesù Nazareno”, ma il “Figlio di Davide”, il Messia atteso, che crede sia in grado di “avere pietà” di lui. Chiede che lui “lo prenda a cuore”, lo riconosca degno di ascolto, si lasci “mordere le viscere” dalla sua condizione. E quando viene chiamato, lascia tutto - il mantello, unica protezione del povero (cf Es 22,25-26) - pur di andare a incontrarlo. Lo sceglie come “suo maestro” (“rabbunì”, unico altro uso in Gv 20,16) e gli consegna la sua fede. E Gesù gliela riconosce come autentica, fonte di salvezza: “La tua fede ti ha salvato, il tuo credere che io sono Dio-salva ti mette in grado di nuovamente scegliere dove andare, oltre la cecità che impediva ogni tuo passo”. E la scelta è di “seguirlo lungo la via”. Sapendo che quella via porta a Gerusalemme, seguirlo senza porre condizioni come invece Pietro (Mc 8,31-33) e i figli di Zebedeo (Mc 10,35ss), per il solo fatto che vederci di nuovo per lui significa aver trovato la via su cui camminare.

Il cieco, la fede

La cecità subita di Bartimeo fa da contraltare alla cecità volontaria dei discepoli che non vogliono vedere dove porta la via scelta da Gesù (Mc 9,32; 10,32). Il “figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco” si mostra capace di riconoscere il “figlio di Davide, Gesù”. E’ l’unica volta nel Vangelo secondo Marco che questo nome è pronunciato - riconosciuto nella sua essenza da un uomo. Le altre volte, a pronunciarlo sono gli spiriti immondi che ne temono il potere di salvare. I titoli messianici, come “figlio di Davide”, possono essere accettati da Gesù a condizione che non escludano la via su cui egli sta camminando, fino alla croce. O meglio, riconoscano che lui rimane Dio-salva perfino sprofondando nell’abisso della morte. L’ultima tappa prima di Gerusalemme, infatti, fa risuonare già la prima accoglienza al suo ingresso in città: i “molti” che lo accompagnano, i “mantelli” sulla via, il “gridare” ... Ma ciò che fa la differenza è la scelta di fede di Bartimeo, di credere che Dio-salva poteva salvarlo, e insieme la scelta di seguirlo, una volta liberato da ciò che gli impediva il cammino.

Incontro di salvezza

E’ far dire troppo a questo racconto di un incontro? Forse no, vista l’attenzione posta dall’evangelista nel dare un volto al cieco, nel metterlo al centro della scena descrivendone con puntigliosità le azioni (siede, sente, grida, grida, risponde), i movimenti (getta, balza, viene, segue). Al ricco, che pur l’aveva cercato con un desiderio profondo di vita nel cuore, Gesù propone movimenti di conversione che non vengono accettati. Qui sono movimenti scelti in piena consapevolezza, movimenti che fanno uscire da una condizione in cui la scelta era impossibile. Qui finalmente emerge, inaspettato, da un emarginato inchiodato al suo posto di accattonaggio, un discepolo capace di seguire Gesù. E’ davvero incontro di salvezza, che cambia la vita.

Un desiderio che apre al cammino

Anche per noi è possibile. Va riconosciuto innanzitutto ciò che desideriamo, quel grido di vita che rischiamo, invece, di soffocare nel cuore. Va gridato forte, finché qualcuno ascolti e ci chiami, siano altri o altre, sia nel profondo la presenza stessa di Dio. Va gridato scegliendo di credere che saremo ascoltati, che verremo chiamati a cambiare postura, a rimetterci in piedi, a lasciare ciò che avvolge la nostra miseria e ad andare a incontrare lui, Dio-salva. A dirgli il nostro desiderio, che trasfigura il nostro bisogno, disposti a lasciarci salvare da tutto ciò che ci acceca. Da tutto ciò che ci impedisce di vedere negli altri presenze di bene e di salvezza, di scorgere nel quotidiano i semi di bene e i possibili frutti, di riconoscere che siamo amati... Da tutto ciò che ci impedisce di alzarci e di riprendere cammino, con una speranza capace di attraversare perfino il fallimento e la morte. Perché è speranza che non ci diamo da soli, perché poggia il passo dietro al passo suo, perché viene continuamente ravvivata dal suo Spirito che genera desiderio nel nostro cuore. Ma anche, capaci di farci tramite per altri, che gridano senza essere ascoltati, capaci di aprire con loro cammini, rallegrandoci della loro compagnia, facendoli sentire compagni di viaggio preziosi e necessari. Diventando a nostra volta piccoli segni di speranza, piccole luci che indicano la via, dietro a colui che è luce che apre cammino fino allo splendore di Pasqua, compimento sovrabbondante di ogni desiderio di vita degna.

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