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Il sogno di Luca Attanasio. Il ricordo di Zakia Seddiki, vedova dell’ambasciatore ucciso in Congo

Quattro anni fa l’agguato. La moglie continua a portare avanti i valori della pace, della speranza, della solidarietà

Il 22 febbraio 2021, Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Repubblica democratica del Congo, veniva assassinato in un agguato, mentre viaggiava su un convoglio del World food programme. La vedova, Zakia Seddiki, in questa intervista, ricorda il marito, e il raccontarsi diventa una testimonianza di speranza e di continuare a portare avanti i valori della pace e della dignità umana, attraverso la fede.

Sono passati 4 anni dall’uccisione di suo marito, Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo. Si torna a parlare delle violenze a Goma, città che, con suo marito, porta nel cuore. Cosa pensa?

Sono passati quattro anni e la ferita che mi ha lasciato la morte di Luca è ancora viva. La violenza che ha segnato la sua morte non è qualcosa che posso dimenticare, ma non posso nemmeno fermarmi su di essa. Piuttosto, guardo a Goma e ai Paesi africani con l’intenzione di continuare a portare avanti i valori che lui ha sempre incarnato: la pace, la speranza e il sostegno alle persone più vulnerabili. La violenza, purtroppo, è una realtà con cui conviviamo, ma non possiamo permetterci che essa prevalga. La bellezza del Congo e dell’Africa tutta non può essere oscurata dal dolore, ma deve essere illuminata dalle azioni concrete di chi crede in un cambiamento possibile, anche nelle circostanze più difficili.

La sua storia personale è una storia di rinascita, di fede e di speranza, in un mondo che sembra andare in senso contrario. Cosa le dà la forza per essere messaggera di pace?

La forza per andare avanti viene dalla fede, che mi ha sempre sostenuto. Ho imparato, in questi anni, che l’amore è una forza incredibile che non si spegne, nemmeno con la morte. Luca ha rafforzato in me l’amore per la vita e per le persone, che già avevo, ma che con lui è diventato ancora più profondo e potente. Ho tre figlie che mi guardano ogni giorno con gli occhi pieni di speranza, e, per loro, devo essere un faro di luce. La fede mi dà anche la serenità per guardare avanti, nonostante le difficoltà. La preghiera, condivisa con Luca e ora anche con le nostre bambine, è il nostro rifugio. È la certezza che, anche nei momenti più bui, Dio ci ama e ci guida, e questo mi dà la forza di essere una messaggera di pace, per loro e per gli altri.

A quattro anni dall’agguato congolese che ha cambiato la sua vita, c’è un ricordo, un momento particolare con Luca che la ispira e che vorrebbe condividere?

Ogni momento con Luca mi ispira ancora oggi. Da quando ci siamo incontrati per la prima volta a Casablanca, proprio nel giorno di San Valentino, ai nostri viaggi, e, ancora, i momenti trascorsi insieme con le bimbe, gli scherzi che Luca amava fare, le risate, ma anche i momenti di dedizione verso il prossimo. Luca amava ascoltare le storie degli altri, capire le difficoltà, ma anche le speranze. Mi ricordo quando andavamo insieme nelle zone più povere, camminavamo tra i bambini, tra le famiglie che lottavano ogni giorno per sopravvivere. Vedere gli occhi di Luca brillare di speranza per loro è un ricordo che non mi abbandona mai. Era un uomo che non vedeva mai le difficoltà come un ostacolo, ma come una possibilità di migliorare. Quel ricordo mi spinge a continuare la nostra missione, nonostante tutto.

Di suo marito Lei ha più volte detto che “era un grande sognatore, ma trasformava i sogni in realtà”. Potrebbe spiegarci meglio?

Luca non era un eroe, ma un servitore dello Stato, un uomo che ha vissuto il suo ruolo di ambasciatore con grande dedizione e passione. Non cercava il riconoscimento personale, ma si impegnava ogni giorno per migliorare la vita delle persone più vulnerabili. La sua visione era chiara: un mondo più giusto, senza paura, senza fame, senza guerra. E per realizzare questo sogno, non si limitava alle parole, ma agiva concretamente. Lavorava incessantemente, mettendo in campo progetti e iniziative che potessero davvero fare la differenza. Il suo impegno non si basava su ideali utopici, ma su azioni concrete, misurabili, che miravano a costruire una pace duratura. Questo è ciò che lo rendeva straordinario nel suo ruolo: non era alla ricerca della gloria, ma della possibilità di cambiare davvero le cose, partendo dalle persone e dalle comunità. Il suo esempio ci ricorda che l’impegno per una causa, per quanto difficile, è ciò che rende il nostro lavoro significativo.

Venendo alla tragica fine di Luca, impegnato per la pace in un Paese martoriato dalla guerra. Che idea si è fatta per l’immunità concessa ai funzionari Onu, nonostante abbiamo violato le procedure?

La morte di Luca è stata un momento estremamente doloroso e ha sollevato molte domande. La sua missione in Congo era mirata a promuovere la pace e il benessere delle persone più vulnerabili, e questo è ciò che mi guida nel ricordarlo ogni giorno. Riguardo all’immunità concessa ai funzionari Onu, credo che, come in ogni contesto internazionale, sia importante cercare un equilibrio tra la protezione di chi opera in scenari di conflitto e il rispetto delle procedure che garantiscono la sicurezza di tutti. È fondamentale lavorare per migliorare il sistema, in modo che le missioni di pace possano essere portate avanti con la massima tutela per chi è impegnato, ma anche con un occhio attento alla responsabilità e alla trasparenza. Confido che la comunità internazionale continui a riflettere su questi temi per garantire che le persone che rischiano ogni giorno per la pace possano farlo in condizioni di maggiore sicurezza e serenità.

Ci potrebbe spiegare cosa e sta facendo con Mama Sofia, la onlus che aiuta la popolazione congolese, in particolare i bambini, e che ha fondato con Luca?

Mama Sofia è il frutto del nostro impegno condiviso, della nostra convinzione che il cambiamento debba partire dalle radici, da dove si costruisce il futuro: i bambini. Ho deciso di fondare questa associazione in Congo proprio per dare il mio contributo e, ora, dopo la sua scomparsa, l’ho trasformata in suo onore in fondazione, per portare avanti l’eredità di Luca e continuare a offrire ai bambini più vulnerabili dell’Africa un’opportunità di vita migliore attraverso l’educazione. Il progetto nasce dalla consapevolezza che solo con un’istruzione di qualità si può sperare in un futuro più equo. Non potevo permettermi di lasciare che il sogno che avevo costruito, col suo supporto, svanisse. Mama Sofia ha continuato a realizzare progetti educativi e sociali, con un’attenzione particolare al supporto psicologico e sanitario per i bambini, che sono il nostro punto focale. Ogni passo che facciamo è un modo per mantenere viva la memoria di Luca e proseguire la sua missione di vita. (Enrico Vendrame)

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