Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Dalla Colombia, un segno di speranza nonviolento
Le cronache ci parlano della Colombia, Paese andino che collega i due oceani, solo in occasione di fatti riguardanti il narcotraffico. Da qualche tempo, le più vicine aree di guerra lo hanno allontano dai mezzi d’informazione. In questo inserto proveremo a dare voce alla realtà complessa e dolorosa della Colombia, punta settentrionale del Sudamerica, attraverso il racconto dei volontari dell’Operazione Colomba.
Cronache in breve di un Paese. La Colombia ha oltre 52 milioni di abitanti, l’80% dei quali sono cattolici battezzati. È il terzo Paese dell’America Latina in quanto a popolazione e il quinto in superficie. La distribuzione della ricchezza, nonostante la crescita economica, non è diventata più equa, al contrario, le disuguaglianze sono ancora più forti oggi che nei primi anni ’50. Vi è un peggioramento dell’indice di Gini (indicatore della distribuzione della ricchezza), che colloca il Paese agli ultimi posti a livello mondiale.
Purtroppo, con 8 milioni di vittime ufficialmente riconosciute, il Paese si trova in una profondissima e radicata crisi umanitaria, fatta di minacce, violenze, sparizioni, omicidi e reciproche diffidenze tra persone che, paradossalmente, condividono le stesse tradizioni religiose e radici culturali. Al centro dei molti conflitti c’è l’iniqua distribuzione delle terre di un Paese ricco di risorse naturali e strategico.
Questa crisi si manifesta in contrapposizioni radicali tra i gruppi dirigenti, portatori di differenti interessi.
Vista da dentro. “Le sfide della Colombia attuale sono molteplici e si può affermare che spazino in tutti gli ambiti della complessa fase storica che stiamo attraversando a livello globale: dalle migrazioni forzate al narcotraffico, dalle risorse in mano alle multinazionali alle forti disuguaglianze sociali, dalla questione ecologica, alla crescita della violenza - ci racconta Silvia De Munari, operatrice vicentina di Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace della comunità Papa Giovanni XXIII. “È importante conoscere le peculiarità del paese Colombia, ubicato nel nord ovest, in una posizione geo-strategica per le economie del continente e per i flussi migratori. Noi operiamo proprio nella zona dove confluiscono i flussi migratori verso l’America centrale, attraverso Panama, conosciuta come il «Tappo di Darién», una delle rotte migratorie più pericolose del mondo”. Ogni anno centinaia di migliaia di migranti provenienti da Venezuela, Haiti, Ecuador, Perù, nonché persone provenienti da Paesi lontani, come Cina, India, Afghanistan, Bangladesh, Camerun e Burkina Faso, di qui passano per attraversare tutto il Centroamerica e raggiungere via terra gli Stati Uniti. De Munari prosegue sottolineando che “la peculiarità della Colombia, nel contesto latino-americano, è quella di essere l’unico Paese con un conflitto armato in corso che dura dagli anni ’60 e che sta segnando tuttora la sua storia”.
Un Paese diviso. La Nazione di Gabo (diminutivo di Gabriel Garcia Márquez), premio Nobel per la letteratura nel 1982, è più noto nel mondo per il cartello di Medellín e Pablo Escobar, il suo capo storico, e ha il triste primato di avere oltre 120 mila desaperecidos.
La Colombia è un Paese estremamente diviso. “Politicamente, socialmente, economicamente”. A distanza di 9 anni dalla firma dell’accordo di Pace del 2016 con le Farc, la situazione resta ancora molto difficile, dato che sono ancora operativi diversi gruppi di guerriglia (come l’Eln), paramilitari e criminali, organizzati come veri e propri eserciti. La Colombia risulta essere in cima alla classifica dei Paesi più pericolosi al mondo per chi si occupa di difesa dei diritti umani e dell’ambiente.
“Noi, come Operazione Colomba, abbiamo il grande privilegio di essere presenti su quella parte della Colombia più profonda. Per questo siamo testimoni delle difficoltà quotidiane che la gente vive, ma anche delle speranze per un mondo più giusto e solidale”, aggiunge De Munari, la quale spiega come “un grandissimo cambiamento politico sia avvenuto il 7 agosto 2022 con l’elezione del presidente Gustavo Petro, che ha creato il Pacto histórico, alleanza tra vari partiti di centrosinistra e movimenti sociali, con lo scopo di togliere il potere alle élite conservatrici e alle potenze straniere. Nonostante le tensioni e opposizioni interne, l’amministrazione Petro continua a impegnarsi nei cambiamenti strutturali, nei negoziati di pace con i gruppi armati e in una politica estera più indipendente”.
Esiti dell’Accordo del 2016. Il processo di pace dimostra che ogni conflitto ha una soluzione, seppure richieda tempi lunghi di attuazione. Costruire la pace è più difficile che fare la guerra, però, per fortuna, l’accordo resiste, anche se nel Paese sono in corso una pluralità di conflitti a bassa intensità e diversi in base alla collocazione territoriale. “L’Accordo del 2016 è stato certamente un’intesa storica tra la guerriglia delle Farc e il Governo colombiano, e c’eravamo tutti illusi che fosse un primo passo verso una pace duratura. L’implementazione è molto molto lenta e intravediamo che ci siano delle forze oscure, che cercano di impedirne l’attuazione. Uno dei punti principali è quello della riforma agraria, che è al centro del conflitto colombiano. Ancora oggi abbiamo l’1% della popolazione che detiene all’incirca l’80% della terra. Negli anni, le violenze e i soprusi verso i contadini sono passati dalle mani della guerriglia ai vari gruppi paramilitari. Per queste ragioni non parliamo di Colombia in pace, ma delle condizioni post-Accordo. Non vedendo i risultati attesi, una parte della guerriglia ha ripreso le armi e ha creato dei sottogruppi di ex guerriglieri”.
Profetica esperienza di pace. La Comunità di pace di San José de Apartadó rappresenta “l’esperienza della società civile di un preciso territorio che decide di essere protagonista della costruzione della pace e non vittima della guerra civile”. Si costituisce il 23 marzo del 1997, con l’obiettivo di difendere il diritto della popolazione civile a rimanere sul proprio territorio, alla neutralità rispetto al conflitto, alla protezione della propria vita e alla tutela della propria terra dall’estrattivismo, al fine di impiegarla come bene indispensabile per il soddisfacimento dei bisogni primari. “Questo è il motivo per cui la Comunità di pace – sottolinea De Munari – continua a essere fortemente presa di mira. Fa paura alle stesse istituzioni colombiane e a tutti gli attori armati (guerriglie, paramilitari, esercito) che si sono avvicendati perché è la popolazione civile che si attiva e si organizza per promuovere la pace nel territorio in cui vivono”.
I suoi membri abitano in piccoli villaggi dislocati in un’area vasta e impervia di montagna nella valle dell’Urabá, dipartimento di Antioquia, senza strade, e dove forti sono gli interessi economici. A causa della sua posizione “troppo” strategica, vicina a Panama, punto di passaggio di vari traffici (coca, armi, migranti) fra sud e centro America, luogo ricchissimo di acqua e di minerali nel sottosuolo, da decenni ha gli occhi puntati delle multinazionali minerarie, agro-forestali e della criminalità internazionale.
Delle 1.200 persone che firmarono l’atto di costituzione della Comunità di pace, più di 300 sono state assassinate, per mano di diversi gruppi armati. La Comunità di pace oggi conta circa 500 persone e ha proprietà terriere collettive in 10 dei 32 villaggi che compongono la giurisdizione di San José de Apartadó.
Nonostante queste gravi violazioni dei diritti umani, la Comunità di pace porta avanti con determinazione una resistenza nonviolenta che chiede dignità, rispetto, verità e giustizia, sfidando apertamente un modello economico e di mercato che si basa sullo sfruttamento umano e ambientale e su una strategia di guerra a bassa intensità. A queste logiche, la Comunità ha opposto l’alternativa di uno stile di vita che pone al centro le persone, le comunità e la natura. Le proprietà sono solo comunitarie, così come le decisioni che vengono assunte. La Comunità rifiuta l’indennizzo individuale dello Stato ai familiari per le vittime del conflitto, ma sta portando avanti la lotta per una riparazione collettiva e di ricerca della verità. “È grazie alle regole radicali nonviolente che si sono date che queste persone riescono a resistere insieme”, ci sottolinea la nostra testimone.
Operazione Colomba ha cominciato a monitorare la Comunità di pace di San José de Apartadó tra il 2007 e il 2008. La presenza dei volontari è diventata costante all’inizio del 2009, in quanto i suoi membri sono sotto costante minaccia, e dura tuttora.
I volontari di Operazione Colomba hanno la funzione di scorta civile internazionale. “Camminiamo con loro e li aiutiamo a raggiungere i villaggi o i campi”, spiega Silvia De Munari. La scorta civile garantisce il collegamento tra i villaggi più lontani, fino a due giorni di cammino, e il centro di San José de Apartadó. “Ci troviamo nell’asse bananero più grande dell’America latina, e dove è in costruzione uno dei più grandi porti in Colombia, nel golfo di Urabá. Per questo stanno crescendo le intimidazioni e le violenze sulla popolazione, perché lasci questo territorio. Con la nostra presenza disincentiviamo le azioni violente”, sottolinea la volontaria.