L’Indo-Pacifico e la Cina
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Denis Mukwege, il medico congolese noto per il suo impegno per la pace e contro le violenze derivanti dalla guerra, che gli è valso anche un Premio Nobel per la pace nel 2018, è tra gli sfidanti al presidente in carica alle elezioni presidenziali della Repubblica Democratica del Congo, in programma il 20 dicembre. Lo Stato è il più grande del continente africano e di gran lunga il più ricco in termini di risorse naturali, e per questo è da trent’anni al centro di una sanguinosa guerra regionale africana che ha fatto almeno sette milioni di morti.
Dal 2018 il Paese è governato da Felix Tshisekedi, che nel maggio 2021 ha messo in piedi un mini-colpo di Stato, scompaginando la maggioranza parlamentare e imponendo lo stato di emergenza in alcune aree orientali del Paese interessate dalla ripresa degli attacchi armati del movimento M23, sostenuto dal Ruanda. L’operazione ha rinsaldato il suo potere e quello del partito che lo sostiene, ma non ha giovato granché alla popolazione congolese, che resta tra le più povere del continente, con il 70% di famiglie al di sotto dal limite di povertà assoluta.
La politica di Tshisekedi è platealmente orientata a sfruttare le immense risorse del Paese (acqua, foreste, minerali di ogni tipo, in particolare terre rare) che al momento sono estratte da compagnie o operatori stranieri che lasciano alla popolazione locale meno di briciole.
Dagli anni 1990, in effetti, è in corso un vero e proprio saccheggio del Congo, operato soprattutto grazie all’occupazione militare delle aree più ricche da parte di Uganda e Ruanda, presenti con proprie truppe o con formazioni militari locali. Il resto lo fa la cronica corruzione degli apparati di potere statali e locali.
Pressato dalla Chiesa cattolica - anche a seguito della visita dello scorso febbraio di papa Francesco nel Paese -, il presidente sembra aver rinunciato al progetto di estendere indefinitamente lo stato di emergenza e ha convocato, appunto, per il prossimo 20 dicembre le elezioni generali. Si tratterà di un turno elettorale “complesso”: si vota, infatti, in un giorno solo, per il presidente (vince il candidato con più voti: non c’è ballottaggio), per il Parlamento nazionale, per quelli provinciali e per moltissimi Comuni. I brogli saranno immensi, tanto che l’Ue ha rinunciato a inviare osservatori, perché il Governo non ha garantito loro la disponibilità di telefoni satellitari, gli unici che possono consentire comunicazioni effettive tra i vari territori e comunicare in tempo reale i brogli.
La cartina al tornasole sarà il voto presidenziale, dove a contendersi la guida del Congo a Tshisekedi, secondo i principali analisti, tra la ventina di candidati saranno Moïse Katumbi, padrone della maggiore squadra di calcio del Paese e governatore della ricca provincia del Katanga e il medico premio Nobel per la pace Denis Mukwege. E’ a quest’ultimo che si affidano molti congolesi della diaspora. Basterebbe un voto in più.
Determinanti, per orientare il voto in Repubblica Democratica del Congo, saranno ancora le appartenenze di tipo “tribale e regionale”? L’esito del voto ci darà il termometro della reale voglia di cambiare pagina dei congolesi.