Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Ma la democrazia non vive di soli referendum
I rappresentanti eletti dal popolo in Parlamento sono chiamati ad assumersi appieno la responsabilità legislativa e poi, alla successiva tornata elettorale, sottoporsi al giudizio dei cittadini che potranno liberamente eleggere loro o altre persone che rettifichino o modifichino le leggi precedentemente approvate.
Personalmente propendo più per la democrazia rappresentativa parlamentare che per quella diretta, esercitata mediante l’istituto del referendum. Forse non tutti saranno d’accordo, ma ritengo che i rappresentanti eletti dal popolo in Parlamento debbano assumersi appieno la responsabilità legislativa e poi, alla successiva tornata elettorale, sottoporsi al giudizio dei cittadini che potranno liberamente eleggere loro o altre persone che rettifichino o modifichino le leggi precedentemente approvate.
I referendum sono a mio avviso una forma di esercizio diretto di democrazia sempre un po’ problematica. E possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Infatti, problemi specifici di un paese, ma ancor più quelli con ricadute internazionali, vengono risolti non attraverso le mediazioni, a volte lunghe ed estenuanti, da parte di rappresentanze sociali e parlamentari, ma con un voto diretto dei cittadini i quali, a volte, mancano di cognizione di causa per disinformazione, o di valutazione delle conseguenze di una determinata decisione. Più di qualche volta, poi, gli elettori si lasciano guidare dal mal di pancia e da propagande ideologiche populiste di facile presa.
Così, i governanti in carica vengono poi lasciati a gestire situazioni difficili e senza margini per correre ai ripari.
Gli esiti dei recenti referendum
Si pensi ad esempio alla Colombia e alle conseguenze della bocciatura dell’accordo di riconciliazione e di pace con le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), un’organizzazione guerrigliera di ispirazione marxista-leninista, fondata nel 1964), ottenuto a fatica e dopo anni di lunghe trattative, avvenute anche con mediazioni internazionali.
Il risultato referendario più eclatante è stato però quello che ha portato all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (la Brexit) e alla fine del governo di David Cameron. Forse, prima o poi, sarebbe avvenuto lo stesso perché Londra c’è sempre stata dentro con la puzza sotto il naso e con lo sguardo rivolto più agli Stati Uniti che all’Europa, ma non in modo così repentino e senza una valutazione ponderata dei contraccolpi sia per l’Inghilterra che per l’Europa.
Restando in Europa, pensiamo anche all’esito del referendum, populista e strumentale, voluto dal premier ungherese Orban, per svincolarsi dalle politiche migratorie dell’Unione europea, che impongono ai Paesi membri l’obbligo di accogliere una certa quota di immigrati.
Orban ha cercato di scaricare sul popolo una patata bollente, facendogli decidere ciò che invece responsabilmente avrebbe dovuto fare lui con il suo Parlamento, dimenticando però di ricordare agli elettori che l’ingresso nella Ue comporta non solo il ritorno di benefici economici ma anche l’accettazione di alcuni oneri impopolari.
Infine, va segnalato anche l’esito, frutto di propaganda xenofoba, del referendum nel Canton Ticino promosso dalla destra nazionalista e, ironia della sorte, dalla Lega Ticinese: “Prima i nostri”, lo slogan che ha accompagnato il voto che riguardava le limitazioni ai lavoratori stranieri, in sostanza ai nostri frontalieri che ogni giorno varcano il confine per lavorare. Un referendum, è vero, più ideologico che pratico e sul cui esito comunque dovrà decidere il Governo centrale di Berna, ma che la dice lunga su come possano incidere sulle scelte di un Paese gli umori momentanei della gente e i luoghi comuni.
La debolezza della democrazia
Sottoporre i rapporti internazionali o i problemi tra Stati confinanti a referendum è allora un po’ pericoloso. Allo stesso modo, sarebbe pericoloso sottoporre al giudizio diretto dell’elettorato tutto ciò che riguarda fisco, tasse e politiche economiche.
La democrazia diretta (compresa quella esercitata tramite la “rete” che meriterebbe una riflessione a parte) porta in sé sempre l’imprevedibilità ma anche un elemento di debolezza perché viene scaricata su altri la responsabilità delle conseguenze e quella di cercare in tempi brevi, che non sono certo quelli della politica, soluzioni “tampone”.
In ogni caso è la democrazia in sé che da tempo sta rivelando tutta la sua debolezza per la facilità con cui può essere controllata e manipolata da poteri e lobby economici, sociali, mediatici e culturali. Con buona pace dei cittadini che vivono nell’illusione di essere i veri protagonisti del loro destino personale e del loro Paese.
Il voto sulle riforme
Fanno certo eccezione i referendum di riforma costituzionale, per la quale in ogni Paese democratico è prevista anche la consultazione popolare. E da questo punto di vista, noi cittadini italiani siamo chiamati ad informarci e a esprimere il prossimo 4 dicembre il nostro voto sulla recente riforma.
Anche in questo caso, tuttavia, credo occorra partire dal fatto che la legge di riforma costituzionale è stata approvata dai due rami del Parlamento in seconda lettura a distanza di sei mesi dalla prima, con maggioranze di ogni tipo. Insomma, il provvedimento è stato certamente vagliato a lungo e nella scelta bisognerebbe valutare anche questo elemento.
Va detto poi che andrebbero a mio avviso apportate le modifiche alla nuova legge elettorale (Italicum) in modo che nel nuovo Parlamento ci siano effettivamente i contrappesi e le garanzie necessarie per contrastare l’eventuale strapotere di un unico gruppo o partito politico uscito vincitore dalle elezioni.