martedì, 29 aprile 2025
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La storia: un sacerdote racconta l’esperienza di malattia e alcune “scoperte”

“Ho riscoperto la mia identità di figlio di Dio amato. Ringrazio il Signore per la sua presenza fedele e discreta nella mia vita e per questa esperienza faticosa che mi sta facendo vivere e lo prego perché mi aiuti a non dimenticare, ma mi faccia vivere da guarito e salvato”

Mi è stata chiesta una testimonianza, da condividere sul nostro settimanale diocesano, su questo periodo molto particolare della mia vita, quello dell’incontro - scontro con la sofferenza e la malattia. Parto subito dicendo che non voglio insegnare niente a nessuno, e nemmeno fare la morale sulla nostra vita di preti, ma ritengo che, nella comunione fraterna che ci lega, sia possibile condividere quelle esperienze di vita che ci segnano il cuore e il corpo, e che parlano di un incontro con il Signore Gesù che guarisce e salva.

“Signore, non capisco, ma mi fido di te”
Condivido quello che ritengo che il Signore Gesù in questi mesi mi abbia fatto capire attraverso l’esperienza della sofferenza e del dolore. Dico che il Signore Gesù mi ha insegnato, perché mi sono reso conto che mi ha preso sul serio e ha ascoltato e sta continuando a dare una risposta a una preghiera che da dicembre ho iniziato a fare nel mio cuore. Stavo male, continuavo a perdere peso e, nonostante i molteplici esami, non si riusciva a capire cosa ci fosse. Non avevo più la forza di seguire le parrocchie, fino ad arrivare al mercoledì delle ceneri, in cui ho dovuto sospendere le messe. Di fronte a tutto questo, alzando gli occhi al cielo, dicevo: “Signore, io non capisco, ma mi fido di te”. Piano piano, questa preghiera è diventata una compagna di strada, che nei momenti più difficili, come una cartina per chi cammina in montagna, mi aiutava e mi aiuta a ritrovare il sentiero che porta alla vita. Ecco che l’esperienza del dolore e della sofferenza, guidata da questa preghiera, che è diventata un dialogo aperto con il Signore, mi ha permesso di scoprire alcune cose che voglio condividere con voi.

Ho riscoperto la mia identità di figlio di Dio amato, nell’unico Figlio donato per amore, e ho scoperto che valgo ogni goccia del sangue che è stato donato anche per me, che non so quello che stavo facendo. Cosa che ho sperimentato, dopo la seconda operazione, fatta il mercoledì santo, apertura di un triduo pasquale che mi ha fatto sentire come Simone di Cirene, caricato della croce di Gesù. Mi sono reso conto, però, che nonostante il dolore, che perfino la morfina faceva fatica ad attutire, il peso maggiore della croce era il Signore a portarlo, aiutandomi a rimettere al centro la ricerca della vita vera e buona secondo il Vangelo, la vita da figli, da risorti, che muoiono a se stessi per vivere secondo lo Spirito del Padre. Quante volte ho sentito queste parole, e solo ora ne capisco la profondità e l’importanza, e riesco a vedere i segni di risurrezione che il Signore Gesù semina nella mia vita e in quella delle persone che mi circondano.

Non sono solo
Ho scoperto che non sono solo nella vita e nella mia esperienza di fede. Per tanto tempo, ho vissuto cercando l’idea che risolvesse i problemi, con il desiderio di essere considerato bravo, un “mega amministratore”, ma durante questi mesi mi sono reso conto che in tutto questo c’era tanto “Io”, mentre mancava l’essenziale, Dio. Quindi, piano piano, è cresciuta la consapevolezza che il Padre mi dona il suo Spirito, che crea nuove tutte le cose. E così la solitudine patita nelle lunghe giornate in ospedale, le battute d’arresto nelle cure, le delusioni e le paure sono diventate opportunità per guardare il mondo con occhi nuovi e vedere che, anche nelle notti più scure, lo Spirito ci aiuta a trovare un po’ di luce. E anche se non capisco, mi posso davvero fidare di Lui.

L’importanza di fermarsi e stare con Lui
Ho scoperto, infine, l’importanza del fermarsi, mettendo da parte tutta la frenesia del fare, per riscoprire la bellezza dell’annuncio di una vita che parla di Dio, perché fermarsi vuol dire aver tempo di stare con Lui e non frantumarsi in mille attività. Io sono stato costretto dalla malattia a fermarmi e, dico la verità, se non ci fosse stata questa cosa, non lo avrei fatto mai. Ho scoperto che ci sono fratelli preti che hanno deciso di fermarsi e fare questa operazione di purificazione e di profonda verità che rende liberi di amare come Dio vuole, uscendo da quella “scatola pastorale” che molte volte ho sperimentato, che mi ha portato a fare senza annunciare (capiamoci, questo non vuol dire che dobbiamo sperare che ci venga una malattia che ci ferma, o che dobbiamo prenderci un anno sabbatico, ma semplicemente prendere il tempo per stare con Gesù, mettendoci in verità di fronte Lui). Infatti, non si tratta di non fare, ma di fare quello che serve veramente e che diventa annuncio del Vangelo; questo l’ho sperimentato nei lunghi mesi di ospedale, quando il sorriso, il modo di affrontare le difficoltà è diventato un annuncio anche per i dottori e il personale. Insomma, non ero più io che facevo qualcosa, ma la mia vita parlava di Dio. In tutto questo, mi rendo conto che il Signore ha fatto un’operazione paziente e misericordiosa con me, insegnandomi a rimettere in gioco le mie decisioni. Molte volte ho visto i miei progetti delusi da imprevisti, per scoprire una volontà più grande, che mi ha fatto sperimentare una provvidenza che non avevo mai conosciuto.

Una preghiera per il nostro presbiterio
Tutto questo mi ha portato nel tempo della sofferenza e del dolore a pregare per il nostro presbiterio e la nostra chiesa di Treviso, riconoscendo la passione che c’è nei preti per la nostra gente. Questo lo considero un dono di Dio che, secondo me, non va sprecato sull’altare del “fare tutto e a ogni costo”, ma diventa relazione con quel Dio Padre che ci dice che siamo figli amati nell’unigenito figlio e ci dona il suo Spirito che attraverso di noi continua a farci fare quello che serve per annunciare il Vangelo.

Parole donate
Sento che il Signore mi ha donato alcune parole chiave che vi lascio e che prego non mi faccia dimenticare quando tornerò in parrocchia:
- Fermati e vieni con me: “Non rallegratevi però perché gli spiriti maligni si sottomettono a voi, ma piuttosto rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo” (Lc 10). E’ l’invito ai settantadue che tornano dalla missione, è l’invito che fa a me e a ognuno di guardare le cose con i suoi occhi.
- La comunione: cosa che viene prima delle mie idee e della perfezione, ma che diventa un atto d’amore concreto e gratuito. Questa parola mi ha permesso di trovare qui, nella Casa del Clero, dove sono per la convalescenza, una comunità di fratelli preti, che a loro modo mi hanno accolto e mi vogliono bene e che io sto imparando ad apprezzare e ad amare senza pretese.
- Vivere. Come ci ricorda papa Francesco, “la realtà viene prima delle idee”: ho capito che la vita va vissuta in tutte le sue dimensioni, mettendo da parte le nostre belle teorie, e che non ci sono “ideone” che risolvono i problemi, ma la vita è un dono di Dio che va vissuto nella sua totalità. Le soluzioni arriveranno dalle relazioni e dal fare assieme.
Ringrazio il Signore Gesù, per la sua presenza fedele e discreta nella mia vita e per questa esperienza faticosa che mi sta facendo vivere e lo prego perché mi aiuti a non dimenticare e a non ritornare a fare le solite cose, ma mi faccia vivere da guarito e salvato.

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10/04/2025

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