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Pasqua: il valore di una data comune

Quest’anno tutte le confessioni cristiane la celebreranno insieme

Tra gli appuntamenti ecumenici che l’anno giubilare interseca, forse il più significativo nasce dal fatto che quest’anno la Pasqua, il “cuore che genera” la Speranza cristiana, viene celebrata, per coincidenze astronomiche, da tutte le Confessioni cristiane nella medesima domenica, il prossimo 20 aprile (l’ultima volta era accaduto nel 2014, e prima nel 2001). Questo fatto, in sé positivo, rivela tuttavia una situazione paradossale che dal 1583 - l’anno successivo alla riforma del calendario voluta da Gregorio XIII - segna la cristianità, rendendoci uniti dalla Risurrezione, ma divisi sulla data della sua celebrazione. Ogni anno, infatti, nella cristianità si celebrano (almeno) “due Pasque”: una festeggiata dalla Chiesa cattolica, dalla stragrande maggioranza delle Chiese e Denominazioni nate dalla Riforma seguendo il calendario gregoriano, e un’altra celebrata dalle Chiese ortodosse e dalle Antiche Chiese orientali (Assiri, Copti, ecc.) calcolata allo stesso modo, ma seguendo il calendario giuliano.

Per prendere maggior coscienza dello scandalo e dei problemi che questo comporta in termini liturgico-teologici e, soprattutto in alcune parti del mondo, anche pastorali, l’Ufficio per l’ecumenismo ha proposto un ciclo d’incontri nello scorso mese di febbraio, l’11 a Montebelluna, e il 18 a Fontane, ospiti della Chiesa battista “Agape”. I presenti sono stati introdotti al tema dal direttore dell’Ufficio, don Luca Pertile, con un intervento sull’importanza e l’attualità della questione e, successivamente, da una puntuale e dinamica ricostruzione storico-teologica di come lo sforzo di trovare una data comune per la celebrazione della Pasqua abbia caratterizzato la Chiesa fin quasi dal suo nascere, offerta da don Davide Fiocco, patrologo della diocesi di Belluno-Feltre, docente e segretario dell’Issr Giovanni Paolo I e dell’Istituto Teologico interdiocesano Toniolo. Sono state così ripercorse le dispute dalla Chiesa dei primi secoli fino a comprendere come la riforma liturgica del Vaticano II - per parte cattolica - abbia recuperato le più significative tradizioni antiche nell’attuale assetto celebrativo del Triduo pasquale.

Risulta tuttavia di difficile comprensione per noi cristiani post-moderni e secolarizzati, che abbiamo una concezione del tempo diversa dagli antichi, comprendere il senso di ricercare un modo comune per calcolare la data della Pasqua e quindi celebrarla insieme. Alla fine, non si tratta solo di una data, sicuramente importante, ma comunque sempre un poco convenzionale? Perché la data della celebrazione della Pasqua non è una questione di calendario e nemmeno solo una questione pastorale particolarmente rilevante.

La data della Pasqua ha, potremmo dire, un “valore simbolico” e quindi identitario fortissimo, quasi “sacramentale”, riassunto da papa Ratzinger con la famosa espressione, “la fede cristiana sta, o cade, con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti”.

Inoltre, il modo con il quale tale data viene calcolata non è indifferente. Rimanda anzitutto alle radici ebraiche della nostra fede, e interpellando anche il moto degli astri, richiama il valore cosmico della Redenzione, e ricorda la normatività che possiede il pronunciamento niceno, che già considerava questi e altri elementi. Si tratta di aspetti certamente difficili da comprendere nella loro importanza per un cristiano contemporaneo, ma che, se trascurati con troppa facilità, impoveriscono la nostra fede. Non si tratta pertanto solo di una data, ma del memoriale annuale - come lo è la celebrazione domenicale per la settimana - nel quale ci viene comunicata la Grazia che ci ha salvato.

La situazione attuale è per molta parte conseguenza di una sorta d’indifferenza o di estraniazione che ha allontanato - al di là dei singoli capitoli oggetto di controversia - Oriente e Occidente. Questo poteva essere comprensibile (non giustificabile) sia perché ogni Chiesa era convinta che l’altra fosse sempre “in errore”, quando non aveva il suo stesso modo di vivere la fede, sia perché ci si trovava in un mondo non globalizzato, dove i flussi di informazione e migratori - che comunque ci sono sempre stati e sono stati alla base di tante dispute - erano molto più lenti. Pertanto non veniva facilmente messo in questione il “monocolore religioso” che caratterizzava territori come il nostro o anche interi Stati. Per cui, il problema di “più Pasque in un anno” semplicemente non si poneva.

Ora questa condizione, se non è già finita, sta per finire. Quelle finestre sul futuro che sono le nostre Scuole dell’infanzia o le classi frequentate dai nostri figli e nipoti ce lo rivelano, con un discreto anticipo. Saremo sempre meno cristiani e sentiremo sempre più le divisioni confessionali, a cominciare dalla differenza di data nel celebrare la stessa Pasqua, nonostante la generosa apertura di papa Francesco, che a conclusione della scorsa Settimana di preghiera per l’unità, ha dichiarato che “la Chiesa cattolica è disposta ad accettare ogni data comune per la celebrazione della Pasqua”. La ricerca dell’unità non è qualcosa da affidare ai soli esperti, ma un cammino lungo che chiama in causa la “creatività spirituale” di tutti a cominciare “dal basso”, dai “rapporti di vicinanza” e fraternità delle nostre Comunità, per offrire la possibilità che i nostri fratelli preghino e celebrino lo stesso Signore Gesù Cristo anche se con un calendario diverso.

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