Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Gender/4: Io e il mio corpo
Il rapporto con il proprio corpo non è “pacifico”, è una “tensione” presente lungo tutta la vita di una persona
E’di qualche giorno fa la notizia (non nuova) della decisione di una scuola di eliminare la festa del papà. Motivo: rispettare un bambino che “ha due mamme”. Le virgolette sono d’obbligo perché, c’è da chiedersi, se sia proprio vero che un bambino possa “avere due mamme”. E perché non cancellare anche la festa dei nonni, da poco istituita, visto che non rispetterebbe i bambini che sono senza nonni? E così via…
I sessi sono due. Sembra sempre più difficile oggi affermare un dato che fino a qualche tempo fa sembrava ovvio a tutti: i sessi sono due e non si possono negare a piacimento. In un mondo in cui va di moda ciò che è bio e, soprattutto, naturale (il latte, la carne, frutta e verdura…) sorprende che un aspetto naturale come il fatto che si nasca con un corpo segnato o con i tratti maschili o con i tratti femminili non venga preso in considerazione. Anzi, l’imperativo sembra essere: trasforma il tuo corpo, “saltalo”, rendilo meno naturale possibile. Oggi, infatti, quando si parla di corpo, il termine “naturale” non è tanto riferito al corpo che ti sei trovato dalla nascita, ma a come “ti senti”, a come “ti vedi”.
Una cultura che esalta il corpo?
In una società come la nostra in cui il corpo, si dice, viene esaltato (fitness, lifting, body-building, piercing, doping, tatuaggi, performance sportiva, gli sport estremi, i nuovi tipi di meditazione) si può notare che alcuni aspetti del corpo vengono completamente ignorati: la malattia, la vecchiaia, la differenza sessuale (maschio-femmina). Per questo motivo, bisognerebbe modificare l’opinione comune con cui si guarda alla nostra cultura: non è un mondo che esalta il corpo, ma una visione della vita che esalta un certo tipo di corpo, un corpo a completa disposizione dell’individuo, uno strumento, un oggetto. Tutto ciò che del corpo sa di limite o sfugge alla mia presa, io non lo considero, fino a eliminarlo. Come se io fossi altra cosa rispetto al mio corpo.
Viene data tanta importanza al corpo, ma si salta di esso un aspetto fondamentale: la connotazione sessuale. E’ evidente, pertanto, una difficoltà a fare i conti con il corpo: inevitabilmente, la “questione gender” ci conduce a mettere a tema anche il rapporto con il nostro corpo.
Il rapporto con il proprio corpo. «Non mi basta sapere che mi vuoi bene, vorrei anche che tu lo esprimessi con un gesto»: queste parole dicono come le nostre relazioni sono caratterizzate dalla dimensione corporea. Ci esprimiamo, esistiamo, comunichiamo grazie al corpo, che ci permette di mostrarci agli altri ed entrare in relazione con essi, di aprirci. Ma il corpo è anche “opaco”, perché ci dà la possibilità di nasconderci, di fingere ma anche perché mi inserisce in uno spazio e in un tempo: sono qui, ora, nella mia stanza, anche se in questo momento vorrei essere a New York o disteso su un prato. Emblematico è il caso del momento di massima vicinanza tra due persone: i due corpi permettono il massimo della vicinanza e dell’unione, ma nello stesso tempo costituiscono anche un ostacolo, un limite: più in là di così è impossibile andare; i due restano due.
Io sono il mio corpo.
Anche per questi motivi, il corpo umano mostra l’esistenza di una tensione, tra me e il mio corpo. E’ vero che io sono il “mio” corpo e non sono un “qualsiasi” corpo (generico); pertanto il rapporto tra me e il mio corpo sta al livello non dell’avere ma dell’essere. Infatti, da una parte, io non riesco a pensarmi senza il mio corpo: se mi immagino in qualsiasi luogo, mi vedo sempre nel mio corpo. Dall’altra, ciò che tocca il corpo tocca anche me: uno schiaffo da una persona cara fa male al viso, e magari dopo poco questo male passa, ma il segno interno lasciato ha effetti ben più duraturi; per coloro che per motivi medici deve sottoporsi a chirurgie plastiche non è sempre facile accettare nuove fisionomie di parti del corpo. Facendo riferimento alla crescita di un bambino, il corpo ha un ruolo centrale anche per lo sviluppo di capacità mentali, per l’apprendimento, per il sorgere della coscienza.
Io sono di più del mio corpo. Inoltre, se il rapporto tra me e il mio corpo è un rapporto di “essere”, nello stesso tempo è vero anche che io sono di più del mio corpo: se perdo una mano in un incidente, io “sono ancora io”. Oppure, anche certi ritmi di lavoro o di veglia a cui sottoponiamo il nostro corpo come anche il non soddisfare immediatamente ogni bisogno fisico (ad esempio la fame) sono segno della capacità di andare oltre i limiti del corpo.
Tra soggetto e corpo: una tensione.
Il rapporto con il corpo, pertanto, non è pacifico né pacificato, cioè tale tensione è presente lungo tutta la vita di una persona. Un bambino impara a sorridere copiando la mamma, impara a comandare le mani, una donna anziana deve fare i conti giorno dopo giorno con il limite della vita, un ammalato con le energie che sembrano venir meno, chi vuole dimagrire cerca di controllare il proprio corpo che non facilmente “obbedisce”, nell’adolescenza ci si trova un corpo che sta cambiando, portando con sé nuove energie, paure e conflitti.
Anche la filosofia e la teologia hanno sempre dedicato molto spazio e attenzione al cosiddetto rapporto “anima-corpo”, a testimoniare che non si tratta di un legame facilmente spiegabile né di una tensione risolvibile in modo sbrigativo. Infatti, non è facile spiegare come anima e corpo stiano insieme, come il soggetto (anima) entri in relazione con il corpo, o con altre parole, come si dia la relazione tra soggettività e corporeità. E’ il lavoro di una vita intera! Un’arte.
Alla scuola del corpo.
Oggi va di moda dire: «ascolta quello che ti dice il tuo corpo, quello che ti chiede», anche se con queste parole si intende spesso: fa’ quello che ti dà piacere, quello che hai voglia di fare. Ne è prova il fatto che non si voglia “ascoltare” il dato di essere nati o maschi o femmine.
Più seriamente, a partire dall’identità tra soggetto e corpo, io posso imparare molto da quest’ultimo. Innanzitutto, il corpo mi insegna che la realtà mi precede: c’è un mondo fuori di me e prima di me! Non sono l’unico al mondo. Il corpo mi mette in comunicazione con l’esterno, mi inserisce in un contesto, fatto di natura, di persone, di spazio. In secondo luogo, il corpo mi insegna che io sono nato: non ho deciso io di nascere, mi sono trovato “nato”. Oggi, in un tempo in cui viene proclamato un po’ ovunque che «posso fare quello che voglio», il corpo mi dice che questa frase è una bugia, non è vera del tutto: c’è una cosa che non è in mano mia, il fatto di essere nato. Di conseguenza, non esiste un soggetto “assoluto”, che possa fare tutto. Anzi, io esisto, corro, amo, posso decidere, proprio a motivo del fatto che sono nato, cioè a motivo del fatto che all’inizio della mia vita c’è una cosa che non ho deciso io! E il corpo mi ridice continuamente questo. Che bello festeggiare i compleanni che ce lo ricordano.
Al di là del mio corpo.
Permettendo all’essere umano di esistere, esprimersi, comunicare, amare, mostrarsi, camminare, il corpo spinge il soggetto oltre se stesso, lo apre al mondo e agli altri. Il corpo affaccia il soggetto sui mondi altrui, lo espone, e nello stesso tempo fa entrare in lui la realtà e gli altri. Non è solo uno strumento, è anche “finestra”, “porta”, o come ha detto S. Giovanni Paolo II, «il corpo esprime la persona», la mostra, la inserisce nel mondo.
Inoltre, dal corpo posso imparare che io non riesco ad andare più in là del corpo stesso, che le mie relazioni raggiungono un punto, anche il massimo, ma non vanno più in là. Il corpo entra in quella tensione tra uomo e donna di cui si è trattato nei precedenti articoli: la differenza sessuale (uomo-donna) è una relazione impegnativa, faticosa; è una benedizione proprio perché in essa io non possiedo mai l’altra persona: la donna resta altra dall’uomo, come l’uomo resta altro dalla donna.
Il mio corpo: io non mi basto.
Uno degli elementi fondamentali che io posso imparare dal mio corpo è il fatto che io “non mi basto”: se voglio capirmi, io non mi basto. Infatti, il corpo, che è sempre un corpo sessuato, o maschile o femminile, mi rinvia all’altro modo di essere corpo umano: il mio corpo di uomo, per essere capito, mi rinvia all’altra possibilità di connotazione corporea, quella femminile (e viceversa). Quindi, quando guardo il mio corpo (di maschio o di femmina), subito vengo rimandato all’altro modo di essere corpo, rispettivamente di femmina o di maschio.
Per rispondere alla domanda “chi sono io?”, oppure “che cosa vuol dire che io sono un essere umano?”, non posso non fare i conti con l’altro modo di essere umano: se sono maschio con il modo di essere umano della donna, se sono una donna con il modo di essere umano di un uomo.
I sessi sono due, ma non è una cosa facile.
La tensione tra soggetto e corpo entra in gioco anche a proposito dell’identità sessuale: frasi come «è sufficiente affermare che si nasce maschi e femmine» oppure «nella Genesi c’è scritto maschio e femmina li creò e perciò non c’è niente da discutere» rischiano di tralasciare completamente il lavoro che il soggetto è chiamato a fare nell’entrare in relazione con il proprio corpo, con cui si identifica ma del quale è anche di più. Non è immediato il rapporto con il proprio corpo: la connotazione sessuale (sono nato maschio, sono nata femmina), in quanto caratterizzazione del corpo, va assunta dal soggetto e nel contempo non è altra cosa da me, proprio perché io sono il mio corpo. Tra me e il mio corpo connotato dalla nascita come maschio o come femmina c’è un lavoro da fare: è il tempo dell’età evolutiva, lo spazio dell’educazione (4. continua).