Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
E gli italiani espatriano
Il rapporto “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes evidenzia cinque milioni di connazionali residenti all’estero, 101.000 emigrati solo lo scorso anno. Capitale umano che se ne va e del quale la politica non sembra occuparsi.
C’è un’Italia che non va, che stenta a riprendersi, che è soffocata dalla morsa della disoccupazione quella che si nasconde dietro gli oltre 100mila nostri concittadini che lo scorso anno hanno lasciato il Paese. Sono in prevalenza uomini, celibi, tra i 18-34 anni, partiti per trasferirsi, soprattutto, in Europa. Sono i dati che emergono dal 10° rapporto “Italiani nel Mondo” presentato a Roma dalla Fondazione Migrantes. Dunque l’Italia non ha cessato di essere, come lo era in passato, Paese di emigrazione. Sono circa 5 milioni i cittadini italiani residenti all’estero e, pur restando indiscutibilmente primaria l’origine meridionale dei flussi, si sta progressivamente assistendo a un abbassamento dei valori percentuali del Sud a favore di quelli del Nord Italia. La Sicilia con 713.483 residenti è la prima Regione di origine degli italiani residenti all’estero ma il confronto tra i dati degli ultimi anni, pone in evidenza una marcata dinamicità delle Regioni settentrionali, in particolare della Lombardia (+24mila) e del Veneto (+15mila).
I giovani, i lavoratori, le famiglie, persino gli anziani partono. L’analisi del decennio mostra chiaramente questa escalation: in 10 anni si è passati dai 3.106.251 iscritti all’Aire (dato del 2006) ai 4.636.647 del 2015 con una crescita del +49,3% in 10 anni. Tra i numerosi dati del Rapporto colpisce la forte crescita degli studenti italiani che scelgono di partire per un periodo di studio all’estero: sono 1.800 i ragazzi partiti con Intercultura per l’anno 2014-2015. Anche tra i laureati, il fenomeno dell’emigrazione per ragioni lavorative è in crescita. Si parte perché all’estero ci sono maggiori prospettive di guadagno (7,4 in media contro 6,2 su una scala 1-10) e di carriera (7,4 contro 6,3), di flessibilità dell’orario di lavoro (7,7 contro 6,9) e di prestigio (7,6 contro 6,8). Le mete preferite sono Regno Unito (16,5%), Francia (14,5%), Germania (12%) e Svizzera (12%). Ma se i giovani partono, l’Italia si trova a diventare un Paese per vecchi. E’ il prof. Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica, a sottolinearlo. Un Paese colpito da una bassa natalità e con un calo demografico pari a 250mila giovani ogni anno. Ad aumentare sono invece due categorie: i neet (“giovani che non studiano e non lavorano” ed “emblema dello spreco italiano del capitale umano”) e gli “expat” con titoli di studio medio-alti, per questo maggiormente esposti alla disoccupazione, senza prospettive e dunque pronti a espatriare. L’Italia - secondo il professore - presenta così “la peggiore combinazione” per un Paese che ha un disperato bisogno di ripresa: tra “neet” inattivi e scoraggiati ed “expat”, cioè talenti che se ne vanno. Come rispondere alla sfida? “Cercando di “valorizzare il capitale umano sostenendo la scelta di chi vuole rimanere” e “favorendo chi vuole tornare”.
Occorrono politiche di investimento. “L’anno scorso - ha fatto notare mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes - sono arrivati in Italia 33mila lavoratori e sono partiti all’estero 101mila italiani. Questa è la vera crisi del nostro Paese”. “Non riprendere questo dato significa non leggere politicamente e culturalmente la nostra situazione e, quindi, non costruire politiche familiari, lavorative e scolastiche adeguate”. Mons. Perego delinea alcune vie da intraprendere: accompagnare i migranti con un associazionismo capace di creare rete; allargare la cittadinanza “in un momento in cui stanno emergendo chiusure e muri e un possibile blocco di Schengen”; guardare con occhi nuovi alla mobilità umana perché “chiusure e paure non fanno che impoverire ulteriormente e disumanizzare la storia delle migrazioni che ancora oggi sono solcate da sofferenze. Il nostro coordinatore di Londra ci parlava di due suicidi di italiani a Londra al mese. Un tema che chiede più politica e più cultura della migrazione”.