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Dall'ebola al coronavirus. "In Italia come in Sierra Leone, nella fragilità gli uomini diventano migliori. Ne usciremo solo insieme"

Di epidemie può essere considerato un vero esperto. Giovanni Putoto, medico, originario di Spresiano, è il responsabile della programmazione e area scientifica del Cuamm - Medici per l’Africa, l’ong con sede a Padova attiva in numerosi Stati del Continente Nero, dove c'è preoccupazione per il diffondersi del virus.

19/03/2020

Di epidemie può essere considerato un vero esperto. Giovanni Putoto, medico, originario di Spresiano, è il responsabile della programmazione e area scientifica del Cuamm - Medici per l’Africa, l’ong con sede a Padova attiva in numerosi Stati del Continente Nero. In questa veste, è stato in Sierra Leone nel cuore della terribile epidemia di ebola, esplosa nel 2014. Ora, assiste da Padova al picco dei contagi da coronavirus. “Rispetto all’esperienza che ho vissuto in Africa ci sono due differenze: si tratta di un virus sconosciuto, e anche per questo è giusto prendere precauzioni importanti; in secondo luogo, questa è una pandemia, agisce su scala globale, mentre l’ebola si diffuse solo in alcuni Paesi africani”. Putoto si dice colpito “dall’impressionante serietà delle decisioni prese dai Paesi occidentali e dalla partecipazione e dedizione degli operatori sanitari. In questo contesto, mi unisco all’appello: bisogna rispettare le indicazioni delle autorità, è fondamentale tutelare la vita umana, a partire da quella degli anziani”.

Un parallelismo tra come gli italiani stanno vivendo questa vicenda imprevedibile e come l’hanno affrontata gli africani? “Per la verità, mi vengono in mente soprattutto analogie - dice il medico del Cuamm -. C’è un’iniziale incredulità, ci vuole un tempo di reazione, poi un’epidemia come quella di cui stiamo parlando aiuta le persone a dare il meglio di sé. Nei comportamenti, nelle reazioni, vedo tante similitudini, la persona umana è sempre la stessa. Nel 2014, in Sierra Leone, la gente era disorientata e impaurita, poi grazie alle comunicazioni date si è presa la strada giusta”.

Secondo Putoto, l’esperienza che stiamo facendo “ha del positivo. Quando le persone fanno l’esperienza del limite cadono le barriere egoistiche, quando si percepisce che c’è un destino comune e che le scelte degli altri influenzano anche la mia vita, emerge un’attenzione nuova, prevale la solidarietà. Questo, in fondo, fa parte della natura umana”.

Chiediamo a Putoto se questi aspetti positivi, alla luce dell’esperienza africana, restano anche alla fine dell’epidemia: “Molto dipenderà dagli effetti, dalla durata, ma esprimo l’augurio che un’esperienza come questa ci cambi in profondità e che tutti insieme capiamo che al centro dev’esserci il bene collettivo, che solo insieme superiamo le difficoltà”.

In questi giorni, intanto, il medico del Cuamm deve gestire una duplice preoccupazione: da un lato quella degli operatori che vivono in Africa per la situazione delle famiglie e amici che sono in Italia; dall’altro quella che la pandemia si diffonda in modo massiccio anche in quel continente, finora relativamente preservato. “I casi dichiarati sono circa 500, i morti una quindicina, fino a questo momento. Nella zona dove operiamo in prevalenza, l’Africa subsahariana, ci sono circa 200 casi, con un solo decesso. Ma il virus si sta diffondendo e c’è grande preoccupazione, le capacità e le risorse sono quelle che sono. L’ipotesi sul fatto che la temperatura e la stagionalità abbiamo influenza sui contagi è stata avanzata, ma non ci sono conclusioni certe. Intanto, il Cuamm deve stare pronto per questa sfida e prepararsi al meglio per prevenire, mitigare e curare eventuali casi di Covid-19 nei Paesi africani”.

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