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Sostare nel conflitto, strumento di pace

Un recente intervento al TEDx Treviso, di Paola Cosolo, consulente pedagogico, impegnata nell’educazione e gestione dei conflitti, ha fornito un’occasione di riflessione in questi lunghi giorni che ci ricordano l’assurdità della guerra. Ha posto, riprendendo il pensiero di Franco Fornari, la domanda «So stare nel confitto?» Una questione che può rappresentare un gioco di parole che ci rimanda ad uno scenario in cui dovremo “sostare” nel conflitto, per comprendendolo, allenarci e risolverlo. Questo perché non esiste una dimensione relazionale senza conflitto, neanche tra le persone vicine, nemmeno nelle coppie. Nemmeno Gesù ha rifiutato il conflitto: i Vangeli raccontano il suo viaggio verso un finale che prevedeva un terribile conflitto, che non ha evitato. Che ha affrontato non andando in guerra, ma munito di armi straordinarie: croce, corona di spine, lancia sul il costato, il suo. Cristo vince e diventa re, sedendo sul trono (ethimasia), con queste armi e vince senza fare guerra. La guerra è la manifestazione aberrante della cattiva gestione di un conflitto. Ancora più se si pensa che rappresenta la conseguenza di un bisogno insito nell’uomo, quello di avere un nemico, e di manifestarlo. Avere un nemico ci aiuta a scaricare responsabilità, a creare alibi, a generare sentimenti di odio che in alcuni casi rappresentano un antidolorifico straordinario. Ecco perché educare alla pace, anche nei bambini, soprattutto i più piccoli, significa educare alla gestione dei conflitti. Diventa quasi più importante insegnare loro a litigare bene che a non litigare. Insegnare a dire le cose, a renderle esplicite con parole giuste e non violente, ad ascoltare. Insegnare a far uscire in modo corretto anche sentimenti negativi, come la rabbia, l’invidia, la gelosia: farli uscire per riconoscerli, per educarli, per gestirli. Per un cristiano non dovrebbe essere solo una differenza religiosa, ma antropologica e dovrebbe distinguerci, marcando le differenze anche con altre religioni, apparentemente a noi vicine. Non per fare la guerra, ma per so-stare nel conflitto, e per farlo diventare strumento di pace.

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