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XXV Domenica del Tempo ordinario: Noi ci facciamo grandi, Dio si fa piccolo

I cristiani e la questione del potere

Come già si è visto domenica scorsa, il tempo dell’annuncio in Galilea si è ormai compiuto (v.30), e “la strada” porta altrove: a Gerusalemme e a ciò che vi accadrà, alla “consegna” di Gesù “nelle mani degli uomini”, che “lo uccideranno”. Rimane all’orizzonte quel “risorgere dopo tre giorni”, ma troppo spaventoso è ciò che precede, un destino di morte. Gesù lo interpreta come la via sulla quale il Padre gli chiede di camminare, è lui stesso a “consegnarlo” nelle mani di chi gli è nemico - e insieme sarà lui stesso a riprenderlo nelle sue mani rendendolo capace del passaggio di Pasqua, oltre i “tre giorni” di abisso mortale.

Un sogno di potere. I suoi non capiscono e non vogliono capire, troppo angosciante è quella prospettiva, troppo in contrasto con i loro sogni e le loro speranze. Tanto che non hanno alcuna intenzione di chiedergli cosa voglia dire, per non aver conferma dei loro timori. E’ altro l’argomento del loro discutere: stabilire chi fosse il più grande. Per confermare ciò che speravano: un futuro di dominio insieme al Messia, al Cristo così come era inteso da loro e da tutto Israele, trionfatore su chi opprimeva il popolo di Dio.

Il potere, la sua ossessione, il suo stravolgimento. Emerge l’ossessione del potere, di chi avrebbe comandato di più, e ritornerà ancora nel seguito del cammino (Mc 10,35-45). Ma Gesù scombina i loro sogni con un’affermazione così chiara da non dare margini di fraintendimento: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (v. 35). Usa un termine concreto: diàkonos, il servo a tavola e nella casa. Ma compie anche un gesto, che ha la forza delle “azioni simboliche” comandate da Dio ai profeti (vedi Ger 13,1-11): mette un bambino al centro e lo abbraccia (v. 36). I bambini a quel tempo erano senza importanza e senza diritti, ce n’erano tanti e tanti morivano fin da piccoli, e finché non erano capaci di portare a casa da mangiare erano solo una bocca in più da sfamare. Erano senza alcun potere, completamente sottomessi agli adulti. Gesù si identifica con loro e addirittura identifica con loro Dio stesso: con la loro condizione di impotenza e di fragilità. Anche lui verrà consegnato nelle mani di altri che di lui faranno quel che vorranno. E in lui sarà Dio stesso a fare la fine dei senza-potere.

La “normalità” del potere. E’ affermazione durissima da accogliere, in un mondo nel quale la gestione del potere è centrale, seppur di solito non discussa apertamente, ma sottintesa: è normale che ci sia chi comanda e chi subisce, chi domina e chi deve sottomettersi. Tra uomini e donne, tra maschi prevalenti e gregge degli altri, tra adulti e minori, tra padroni e servi, tra popoli e tra nazioni... Nella stessa Chiesa questo è uno degli argomenti maggiormente tabù: ormai le questioni legate al sesso e al denaro sono emerse con la forza di scandali che non si possono ignorare, ma la questione del potere, del suo uso e del suo abuso, ancora resiste ad analisi e critiche. Lo stesso papa Francesco si è scontrato con questo strato di dura resistenza al cambiamento e lo ha denunciato più volte, ma l’impressione è di una forza molto difficile da sconfiggere. Il processo sinodale, che avrebbe in sé la capacità di trasformare le relazioni tra i componenti della comunità ecclesiale - preti/vescovi, laici, laiche consacrati, cosacrate - aprendo così il confronto sul potere, sul servizio, sul rispetto della dignità e sulla reciprocità di relazioni - rischia di infrangersi proprio sulle scogliere di chi il potere ce l’ha e non vuole metterlo in discussione. Non solo nella gerarchia ecclesiastica, ma anche in tanti laici “clericalizzati”.

Lasciarsi convertire da un potere “altro”. Se da un lato è fondamentale indignarsi di fronte a questo grave tradimento dello stile di Gesù e della prospettiva del Regno di Dio da lui inaugurata, dall’altro è altrettanto fondamentale non paralizzarsi nell’opposizione o, peggio, lasciare il campo ad altri abbandonando la contesa o abbandonando la comunità. E’, invece, necessario continuare a lasciarsi sconvolgere e convertire dal potere di questo Gesù che, pur rimproverandoli per la loro durezza di cuore e di mente, mai abbandona i suoi, e andrà a cercarli uno per uno, una per una, da Crocifisso Risorto. Lui continua a desiderare la nostra presenza, la nostra compagnia, continua a volerci con lui , e ci chiama, ancora e sempre, dentro e oltre le nostre fragilità, incomprensioni, resistenze (Gv 21,15-19). Ci chiama a prendere sul serio un Dio che si fa impotente e fragile come un bambino e che, allo stesso tempo, come un bambino è sorgente fresca di speranza e di vita. Ci chiama ad accoglierlo e a prenderci cura di lui nei più fragili e senza potere, finché non scopriamo con infinita meraviglia che in questa relazione così sorprendente è lui stesso a prendersi cura di noi, e a donarci capacità di seguirlo fin oltre ogni morte, in vita di Pasqua. Saremo così in grado di fare la nostra parte per trasformare una Chiesa, e un mondo, troppo spesso succubi di un ingiusto uso del potere, verso un Regno di Dio in cui prevale il mettersi al servizio della vita di ciascuna e di ciascuno.

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