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XXIX Domenica del Tempo ordinario: Mettersi a servizio per generare vita

Gesù affronta con i discepoli la questione del potere

Con questo brano giungiamo al culmine del percorso proposto dall’evangelista Marco negli ultimi capitoli. Nei versetti appena precedenti si sottolinea la determinazione di Gesù nell’andare verso la sua morte, compresa come modo per compiere la volontà di Dio, e lo sgomento che questo fa nascere in chi lo segue, in chi attendeva dal Messia il trionfo sui romani. La richiesta di Giacomo e Giovanni è rivelativa di questo “conflitto di interessi” tra Gesù e i suoi. E’ desiderio di gloria perfino oltre la storia, in quel “tempo futuro” indicato dalla letteratura apocalittica (cf. Dan 7,13-14). Ma Gesù non si lascia deviare dalla “via”, e ribatte assicurando che non tocca a lui la scelta di chi alla fine starà “alla sua destra o alla sua sinistra”: di fatto lo decideranno coloro che lo metteranno in croce, e i posti saranno occupati da due altri condannati a morte infame.

Donare la vita per generare vita

Particolarmente interessante è lo sviluppo che egli propone ai suoi. Per la prima volta giustifica il senso della sua “via” in modo così chiaro: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per i molti” (Mc 10,45).

Il mettersi a servizio di tutti e dare la vita perché la vita di Dio venga generata in tutti certamente stravolge le attese dei discepoli. E anche le nostre, personali ed ecclesiali.

Il rischio del potere come dominio

Il paragone con quanto fanno i «governanti delle nazioni» fa entrare nel pieno dell’area della “politica”, mettendo in risalto l’uso del potere nudo e crudo: “dominare” e “opprimere”. Non a favore di chi è affidato alla propria responsabilità di governo, ma sfruttando piuttosto coloro che sono governati a vantaggio esclusivo di chi li governa. A questa prassi viene opposto un modo di fare contrario: “servire”, fino a essere “sottoposto” (“schiavo”) a coloro di cui si ha responsabilità. E’ chi vuol essere “grande”, “primo” a dover dipendere da coloro che governa, e non viceversa. Questo innanzitutto in termini ecclesiali: sullo sfondo vi è il vissuto della comunità cristiana a cui quel Vangelo è annunciato e nella quale, come in ogni gruppo umano, emergeva la questione della gestione del potere, come già nel primo gruppo dei discepoli di Gesù.

Un altro modo di vivere

A livello personale, ciò che è in gioco è la scelta di Dio di agire nella storia condividendo fino in fondo la sorte degli ultimi, coloro della cui vita il potere si è impadronito, fino a poterli condannare a morte. Affidare la propria vita a un Dio così è una scelta di fede impegnativa. Da qui ne consegue anche il modo di metterci in relazione con gli altri: rinunciare a dominare, scegliendo di mettere a servizio degli altri le proprie capacità e ricchezze, richiede un’altrettanta impegnativa scelta di fede e una solida maturazione umana, per non cercare nell’esercizio del potere compensazioni ad altri bisogni interiori. E questo nelle relazioni e nei contesti comunitari più “quotidiani”: in famiglia, nel lavoro, nel gruppo degli amici, nella comunità cristiana... Si tratta di lasciarsi pazientemente convertire il cuore e la vita, sostenendoci a vicenda nella testimonianza e nell’azione dello Spirito Santo.

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