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VI domenica di Pasqua: “Amatevi come io vi ho amato”

Rimanere nel suo amore ci consola e ci sostiene, e questo è possibile grazie alla fedeltà di Dio

A partire dalla densa immagine simbolica della vite e i tralci di domenica scorsa, il brano di questa domenica sviluppa una reciprocità impressionante, che “fruttifica” nella dimensione dell’amore.

Reciprocità nell’amore, che prende forma nella nostra vita. Amore del Padre verso il Figlio, che il Figlio dona a chi lo accoglie, a farlo diventare tralcio della vite che è Gesù. Ma è amore che fonda reciprocità di vita, di gioia, di conoscenza, di confidenza, fino a portare frutto, un «frutto che rimane». E tuttavia, c’è il rischio di rimanere nella nuvola delle “parole belle”, che alla fine tradiscono la concretezza di chi per amare ha donato la sua stessa vita.

Come prende forma questo amore nella nostra esistenza? A questo interrogativo ha risposto il gruppo donne Casa di Betania, con cui ho condiviso l’ascolto sul testo del Vangelo secondo Giovanni. Ne è emersa una ricchezza grande di esperienze, espressioni, sottolineature, che propongo in estrema sintesi. Di questa condivisione e del lungo cammino che continua a renderla possibile ringrazio loro e il Signore.

Rimanere, fin dentro le ferite che l’amore patisce. Una delle prime azioni a cui questo amore chiama è quella di «rimanere»: fermatevi, sostate, dimorate, respirate, vivete, riposate nel mio amore, per ritrovare fiato dentro un mondo tanto segnato da ferite e sofferenze. Può sembrare illusoriamente semplice: basta amare per essere felici? Ma l’amore non è immune dal patire: troppe volte è amore desiderato ma non ricevuto, agito ma non corrisposto, fin dall’infanzia si trova a confrontarsi con fallimenti e risposte insufficienti, o vere e proprie violenze. Per questo Gesù gli fa assumere la portata di un «comando», ovvero un’indicazione autorevole per sostenere la nostra fragile capacità e volontà di amare, perché possa vincere le mie perplessità, le mie scuse, le mie stanchezze... riscoprendo nella mia vita le tracce del suo amore in tanti incontri e relazioni concrete e quotidiane. Perché come sperimentiamo le ferite dell’amore, così siamo chiamati a riscoprire continuamente la sua tenace presenza e vitalità nella storia nostra e del mondo.

Portare frutto duraturo. Tuttavia, essere immersi in un oceano di amore, l’amore stesso che il Padre riversa sul Figlio e che il Figlio restituisce al Padre donandolo a ogni uomo e donna e riversandolo a sua volta nell’intero creato, questa esperienza non è rimanere in una “zona di conforto”: è piuttosto essere chiamati a una responsabilità. Sei amato per «portare frutto». E l’unico modo affinché un frutto «rimanga», invece che marcire, è condividerlo a piene mani con gli altri, perché così diventa vita per molti. Ce lo insegna Dio, che non pretende il nostro frutto per sé, ma perché venga condiviso e donato: non è amore che soffoca nella dipendenza, ma che libera nella gratuità. Questo viene reso possibile dal fatto che è lui ad aver scelto noi: è fin troppo, incanta e apre a un orizzonte senza limiti. E’ amore offerto senza misura e senza pentimento, non genera giudizio, ma offre possibilità di profonda trasformazione. Libera dal timore della condanna, apre all’accoglienza della misericordia. Apre a relazioni che possono trasformarsi, generando vita intorno a noi. Oltre le attese di risposte e di contraccambio, scoprendo con meraviglia che nasce gioia quando vediamo che l’altro è felice.

Amore che genera amore chiede cammino. E ancora: da amore si genera amore, in una circolarità in cui posso anch’io dimorare, fin nell’impegno di coerenza e di tenacia che questo comporta. Quello che ci viene donato è un amore enorme, tanto ricco nella sua varietà: amore paterno/materno, amore di fratello, amore di amicizia... a dire la necessaria varietà che genera famiglia, capace di attraversare i conflitti e le ferite, perché l’amore sa anche portare guarigione... Ed accoglierlo, e imparare ad amare così non è “semplicemente spontaneo”: chiede di obbedire a quell’amore, chiede cammino. Al di là della vertigine, chiede tempo e cammino, dimorando in lui, e con lui costruire la nostra vita. Ricordando che Gesù, chiamandoci amici, consegnandoci tutto ciò che ha ricevuto dal Padre - la ricchezza della sua misericordia e la vita generata dal suo amore - ci considera degni di partecipare alla sua stessa relazione con il Padre. Degni di entrare nella vita che attraversa ogni morte, la vita di Pasqua.

“Insegnami ad amare nel modo giusto”. Così, ecco la preghiera che può accompagnare i nostri giorni: “Insegnami ad amare nel modo giusto” tutti coloro con cui vivo e che incontro. Diventerà pian piano un continuo crescere, sentendoci accompagnati fin dentro le fatiche che l’amore attraversa. Rimanere nel suo amore ci consola e ci sostiene, da quando nasciamo a quando moriamo, e questo ci è possibile perché è Dio per primo a rimanere fedele al suo amore per noi, è lui che ci ha scelti e non cambierà mai idea. Continua ad amarci nel segno della croce che apre all’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, che collega il cielo e la terra e noi agli altri, e apre vie di Pasqua, liberati di giorno in giorno da paura e ansia: “Mi affido al tuo amore”.

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