Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Advar: un cammino di prossimità e fiducia
Il 2017 sarà ultimato l’ampliamento della Casa dei gelsi, gradualmente saranno accolti anche malati non oncologici. Un’infermiera ci parla della sua relazione con pazienti
e familiari: “Da ogni assistenza si esce arricchiti”.
Dal 1988, quando fu fondata dalla dottoressa Anna Mancini Rizzotti, Advar si occupa dell’assistenza completamente gratuita ai malati oncologici in fase avanzata e terminale sul territorio di Treviso e nei comuni dell’Ulss 9 compreso Oderzo e Motta di Livenza. Sono oltre 300 i nuclei familiari raggiunti dall’assistenza a domicilio dell’associazione in un anno; 50 quelli assistiti ogni giorno dalle due équipe multidisciplinari composte da medici, infermieri, psicologhe e coordinatrici, a cui si affianca un gruppo di oltre 150 volontari. Viene garantita una reperibilità medico-infermieristica tutto l’anno, festività comprese, 24 ore su 24.
L’hospice “Casa dei gelsi” invece, vissuta come una vera casa, è dotata di 12 camere singole con bagno e la possibilità di ospitare un familiare, di arredare la stanza con oggetti propri, di farsi preparare dei pasti personalizzati e di accogliere parenti ed amici in ogni momento, senza limite di orario. Sono circa 210 i ricoveri in media in un anno e possono durare da alcuni giorni a due-tre mesi.
L’associazione fa parte della Federazione italiana cure palliative e le spese vengono sostenute tramite una convenzione con l’Ulss di Treviso del 2004, che assicura circa il 60% della copertura dei costi per l’hospice e il 20% per l’assistenza domiciliare. Il resto proviene dall’attività di raccolta fondi svolta sul territorio.
“L’Advar è oggi una radicata presenza solidale nel territorio - commenta la presidente Anna Mancini Rizzotti - ma la sua crescita non sarebbe stata possibile senza il supporto di tutta la comunità. Con la sana e ragionata follia che ci contraddistingue, continuiamo con coraggio e fiduciosa speranza la nostra avventura”.
E il progetto continua oggi con l’ampliamento della Casa dei Gelsi che prevede, entro il 2017, l’apertura di una nuova ala dell’hospice. Si avranno ulteriori 6 posti letto, nuovi ambulatori e una sala polivalente per attività diverse. Gradualmente verranno ricoverate anche persone malate non oncologiche.
Un impegno nel quotidiano
Patrizia Vidotto fa l’infermiera per l’Advar da 10 anni, ha lavorato all’interno dell’hospice fino al 2009 e poi sul territorio attraverso l’assistenza domiciliare. Le sue parole sono un esempio di come Advar lavora nel quotidiano prendendosi cura della persona e delle famiglie. “L’assistenza domiciliare - racconta-, parte dalla relazione con i familiari con cui crei un legame. Una specie di patto tra pari, sebbene infermieri, medici e famiglie abbiano compiti differenti, ognuno di noi con competenze diverse porta qualcosa per avviare un percorso. A volte da subito si instaura un rapporto di fiducia e complicità, altre è più difficile. Entri nelle abitazioni di persone che non conosci e che non ti conoscono, lo fai con la mente libera da qualsiasi pregiudizio, ma alle volte senti che è come se ti tenessero sulla porta. Magari stai ore in casa per fare il tuo lavoro, ma percepisci che ci sono delle resistenze alla tua presenza. Poi arriva un passaggio che ti consente di andare avanti, può avvenire prendendo un caffè insieme e condividendo un piccolo momento di vita quotidiana, lontano dalla malattia, che permette di mettersi a nudo rafforzando così un patto di fiducia che arriva ad un livello più alto”. Si tratta di un lavoro in cui, oltre a mettere in campo tutta la propria professionalità, si attinge anche a tutta la propria umanità.
“Naturalmente i momenti di crisi ci sono, non ti senti capito o sei sotto pressione, pensi a come organizzare il tempo per fare tutto il tuo lavoro, ma non puoi andare da una persona malata con l’occhio all’orologio e i minuti contati. Quello che aiuta molto sono i gruppi di équipe con i colleghi, il sostegno degli psicologi e anche ogni tanto chiedere una mano ai «Piani Alti», io almeno faccio così. Il lavoro lo porti a casa, con le reperibilità durante i fine settimana e le notti, alle volte avresti bisogno di una stanza di decompressione. Ma non mi piace che si dica che la nostra è una missione. Il nostro è un lavoro, un lavoro che deve far star bene anche l’altro”.
Prosegue Patrizia Vidotto: “Ci sono anche i momenti piacevoli, quelli in cui si chiacchiera ed escono i ricordi, o si riesce a scherzare e sdrammatizzare la situazione, cosa che facciamo anche tra colleghi. Certo che creare legami con le persone poi ha delle conseguenze su di me, ma mia nonna diceva «Chi non accetta non merita», le famiglie ci mettono tempo ad accoglierti e quando lo fanno non puoi non accettare tutto. Condividi con queste persone un percorso e tutte rimangono nella tua memoria. Da ogni assistenza esci arricchito. A scuola impari la teoria, ma è attraverso il vissuto che puoi portare un’assistenza sempre di più alta qualità. Non tutti naturalmente la pensano come me, c’è anche chi decide di rimanere un passo indietro, per preservarsi. Io personalmente ho scelto di vivere al massimo, di entrare in empatia con le altre persone, con le situazioni, se non lo facessi mi sembrerebbe di guidare una macchina solo in prima e seconda”.